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“Vie navigabili per connettere l’Europa”, il convegno a Ferrara del 19 aprile

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di Silvia Casotti

Presso la Sala degli Stemmi del Castello Estense di Ferrara si è svolto venerdì 19 marzo il convegno dal titolo Un nuovo modo di vedere il mondo. Vie navigabili per connettere l’Europa, organizzato da Provincia di Ferrara e Regione Emilia Romagna.
Al tavolo dei relatori, coordinati da Ilaria Vesentini (Il Sole24Ore), si sono succeduti esponenti di spicco del mondo dell’Università e delle Istituzioni locali, nazionali ed europee.
È stata la presidente della Provincia, Marcella Zappaterra, ad aprire i lavori, con una presentazione del sistema idroviario ferrarese all’interno di quello padano-veneto, in particolare nell’ottica europea che lo vede non più soltanto come una emergenza di carattere locale, bensì come infrastruttura inserita, ora ufficialmente e a pieno titolo, nel core network della rete transeuropea di trasporti 2014-2020.
Fin dal 2011, ricordiamo ai lettori, la Commissione Europea ha presentato la proposta di regolamento per la revisione delle linee guida del programma TEN-T, indirizzato a dare attuazione allo sviluppo delle Reti Transeuropee di Trasporto, sulla base dell’art. 155 del Trattato dell’Unione Europea.
Tuttavia, anche se è l’Europa che ce lo chiede, come più volte sottolineato, questo non ci basta per condividere a priori l’assunzione di un impegno tutto da verificare. Il buon senso ci chiede, quindi, di capire meglio la questione.

“L’idrovia ferrarese, che rappresenta il terminale sud dell’intero sistema padano-veneto – ha sottolineato Zappaterra – è un punto centrale di snodo per tutti i corridoi europei. Il progetto europeo ha come obiettivo a lunga gittata quello di collegare tutti gli stati membri dell’Unione Europea, realizzando entro il 2050 uno spazio unico dei trasporti, passando naturalmente attraverso step successivi.
I primi risultati a livello locale sono stati raggiunti con il completamento del lotto Valle Lepri – Portogaribaldi: tanto c’è ancora da fare, in parte già in programma, in parte in fase di studio.
Anche se in apparenza sempre molto lontana, una scadenza intermedia per il progetto generale è prevista nel 2030, data che dovrebbe segnare il completamento della prima fase, quella che privilegia i collegamenti e i nodi più importanti, ovvero le capitali europee, i maggiori centri urbani, i principali porti, aeroporti, vie navigabili. Tutte le voci hanno concordato nell’evidenziare come l’intervento nella sua globalità necessiti di coordinamento fra le istituzioni e di azioni intermodali ed interoperabili per realizzare i molteplici obiettivi: eliminare i cosiddetti “colli di bottiglia”; collegare tutti i tratti navigabili; completare man mano i tratti di idrovia, con priorità transfrontaliere; superare le barriere naturali per favorire i collegamenti.
Se il trasporto delle merci crescerà, come previsto, fino all’80% entro il 2050, è subito evidente come, a lungo termine, i vantaggi del potenziamento dei collegamenti idroviari si potranno leggere sia in termini di riduzione dei costi del trasporto, manutenzione, infrastrutture e servizi connessi, sia in termini di risparmio di risorse energetiche e riduzione dell’inquinamento.
Interessanti, parlando di trasporti, anche le valutazioni sul ruolo del porto di Ravenna nello scambio delle merci, soprattutto in considerazione della importanza dello stesso a livello nazionale (sesto in assoluto) e del suo ruolo circa lo scambio con i mercati del Mediterraneo orientale e del Mar Nero. “Un buon porto – ha detto Galliano Di Marco (Presidente Autorità Portuale di Ravenna) – dovrebbe portare almeno il 10% delle merci su ferrovia”, sottolineando ancora una volta l’aspetto dell’intermodalità e la necessità di adeguare questi parametri a quelli di paesi a noi più e meno vicini, dalla Svizzera ai Paesi nordici, dove si attestano fra il 30 e il 40%.

Un ulteriore aspetto esaminato è stato quello che riguarda le prospettive occupazionali sul territorio: “Si prospetterebbe – come ha evidenziato Leonzio Rizzo (UNIFE – Dip. di Economia e Management) – un ritorno importante e una opportunità di crescita economica in ambito produttivo: con attività a supporto delle infrastrutture, del trasporto commerciale e delle aziende già presenti, ma anche attraverso i progetti di riqualificazione dei siti produttivi dismessi. Portare l’asta navigabile a un livello di classe V, quello che permette il transito di navi di grossa portata, è uno degli obiettivi, in vista del potenziamento delle attività di import-export. Altri ambiti interessati saranno inoltre quello nautico e quello turistico, con attività che spaziano dalla cantieristica, alla realizzazione di nuove infrastrutture (porti, approdi, ecc.), all’ampliamento dei servizi e dell’offerta collegati ad un turismo slow e sostenibile, e, di conseguenza, anche alla valorizzazione dei prodotti tipici locali”.
Interessante la prospettiva di Rizzo nel sottolineare come la costruzione o l’ammodernamento di un’idrovia possono essere visti come “il finanziamento pubblico di parte del costo che l’impresa deve sostenere per svolgere la propria attività”. In questo senso la rete di trasporto rappresenta un “imput a costo zero per l’impresa” che non paga alcuna tariffa per il suo utilizzo.
Un’idrovia efficace, inoltre, significa sia minori costi per i privati, poiché si ha un aumento della capacità di trasporto con una diminuzione di fabbisogno di energia, sia l’abbattimento notevole dell’inquinamento rispetto al trasporto su strada.

Naturalmente i diversi settori di intervento presentano sfaccettature molteplici che necessitano di un lavoro di squadra alle spalle. “Per l’Idrovia Ferrarese questo significa – aggiungeva Zappaterra in apertura – muoversi all’interno di un protocollo di intesa con la regione Emilia-Romagna, l’Autorità portuale di Ravenna, l’AIPO (Agenzia Interregionale per il Fiume Po), per essere considerati come sistema idroviario europeo alla stessa stregua di Danubio, Reno e Rodano e competere a livello paritario all’assegnazione di contributi davvero importanti per raggiungere gli obbiettivi prefissati”.

Queste riflessioni ci fanno di nuovo mettere a fuoco lo sguardo sul “nostro” Fiume. Senza entrare nel merito di altri interventi della mattinata ferrarese, certamente interessanti ma decisamente più tecnici, vogliamo invece percorrere a grandi linee, ma in modo completo, le osservazioni di Ivano Galvani, dirigente del Settore Navigazione Interna dell’AIPO, intervenuto sul tema “I progetti in corso a favore della riqualificazione del Fiume Po. Spunti per una gestione ottimale”.
Il relatore ha aperto con una “assunzione di responsabilità”, per così dire, asserendo che, se il sistema idroviario approvato nel 1992 fosse stato definito prima, forse tanti errori sarebbero stati evitati (uno fra tutti la realizzazione di ponti troppo bassi!), affermazione che, a posteriori, forse ci fa intendere meglio l’importanza di previsioni a lungo termine nelle questioni fluviali.
“Bisogna tener presente – continuava Galvani – che il Po è un fiume a corrente libera, il cui livello di navigabilità è stabilito in 340 gg./anno: un parametro non lontano da quello rilevato per fiumi come Reno e Danubio. Rispetto ad un fiume di questo tipo, tuttavia, è più difficile intervenire: non lo si può fare in ogni punto ed è necessario pianificare gli interventi con grande attenzione e lungimiranza anche per quanto riguarda gli insediamenti industriali, l’offerta di servizi, le imbarcazioni da utilizzare per la navigazione e così via. Sul Po attualmente girano, in un anno, circa 500mila tonnellate di merci (per lo più materie povere) dall’interno al mare, più un’altra quota di inerti che vengono movimentati intra-fiume in notevole diminuzione rispetto agli anni Settanta, anni in cui, per lo più a causa dell’attività delle centrali termoelettriche, la movimentazione si aggirava attorno ai 3 milioni di tonnellate annue. La sfida di oggi è, come già detto, il tentativo di arrivare alla V classe di navigabilità, aumentando la possibilità di pescaggio e quindi di navigazione per le navi di grossa portata e, in generale, aumentando i chilometri navigabili senza difficoltà ed interruzioni.
È da tener presente che negli ultimi 50 anni l’abbassamento dell’alveo del Po ha creato non pochi problemi di navigabilità e che, d’altro canto, i progetti non devono né possono ragionare solo in termini di navigazione possibile/ottimale ma abbracciare scenari complessivi e più ampi”.
Gli interventi necessari presentati da Galvani si possono riassumere in quattro punti. Al primo posto la costruzione di una nuova Conca di Isola Serafini, per ampliare la navigabilità oltre Cremona in direzione Piacenza e Pavia. In secondo luogo Galvani ha sottolineato la necessità di correzione della regolazione dell’alveo di magra nel tratto fra Cremona e foce del Mincio, per aumentare il pescaggio ed evitare la formazione dei bassi fondali. Ancora, sarà necessaria la vera e propria progettazione del tratto da foce del Mincio a Ferrara, attualmente non regolato e che presenta la difficoltà di definire il canale di magra attraverso il quale le imbarcazioni si possano muovere con pescaggio sufficiente. Ultima, ma non meno importante, la necessità della costruzione di due draghe per intervenire nei periodi di magra.
“Se realizzati tutti questi punti fondamentali – specifica il relatore – gli obiettivi di pescaggio potrebbero essere: 200 cm x 340 giorni, 220 cm x 300 giorni e 250 cm x 200 giorni. Da non dimenticare, poi, un ulteriore intervento progettuale indispensabile e complementare ai precedenti, ovvero quello di un piano di gestione dei sedimenti alluvionali dell’alveo del fiume Po”.

In un’ottica di cooperazione a livello europeo è certamente importante ed utile guardare ad esperienze già realizzate o in fase di realizzazione, come gli interventi sul fiume Rodano, dove la bacinizzazione del tratto Marsiglia – Lione risale già al 1980. Il confronto e il sostegno economico offerto dai finanziamenti europei sono dunque indispensabili elementi per definire la fattibilità dei progetti. Altresì fondamentale il coordinamento fra le realtà nazionali, avviato attraverso una stretta collaborazione fra Regione Emilia-Romagna e Lombardia e con la presa in capo all’AIPO della navigazione interna e del tentativo di razionalizzazione della gestione complessiva, che dovrà coinvolgere – é un auspicio e una necessità – anche Veneto e Piemonte. Necessario, inoltre, e forse non prescindibile, l’adeguamento di un Regolamento della Navigazione Interna, che data 1949, mentre si parla di progetto RIS (River Information Service, ovvero Sistemi di Informazione Fluviale), una piattaforma informatica sulla quale gireranno tutte le informazioni sulla navigabilità, progetto in vista di completamento entro l’anno, finanziato dall’Unione Europea.

Insomma, per arrivare ad una conclusione e con la promessa di ulteriori approfondimenti, sentendo le voci di chi vive, lavora e si relaziona quotidianamente con il nostro Grande Fiume, possiamo forse dire di aver capito qualcosa di più. Abbiamo capito che un fiume va affrontato con progetti multimodali e a lunga distanza temporale; che le problematiche e i cambiamenti ad esse relativi non hanno soltanto i piedi nell’acqua ma coinvolgono le strade, le ferrovie, le infrastrutture in generale, e quindi una sinergia di ampia portata; che ulteriori miglioramenti rispetto alle necessità apparentemente più semplici da affrontare e più vicine, come quelle legate al turismo e alla navigabilità per così dire “da diporto”, potranno concretizzarsi in un arco temporale medio, misurabile dai tre ai cinque anni.
Andiamo via con un timore e una speranza: che il cannocchiale puntato sul 2050 non ci distolga dal microscopio imprescindibile della piccolissima distanza.