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“Viaggio nella valle del Po”, Mario Soldati 65 anni dopo

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viaggio nella valle del po mario soldati 1957 1958

Tutto diventato così diverso eppure tutto rimasto quasi uguale dopo 65 anni. Rivedendo oggi il documentario “Viaggio nella valle del Po” del regista e scrittore Mario Soldati, trasmesso dalla neonata televisione italiana nell’inverno 1957-58, si prova una sensazione sia di estraneità sia di familiarità. Il sottotitolo recita “Alla ricerca dei cibi genuini”.

Le 12 puntate del “Viaggio” costituiscono, si dice, il primo reportage enogastronomico italiano. La trasmissione esplora i 652 chilometri dalle sorgenti alla foce del Po, dando lustro – un fatto allora assolutamente inconsueto – a cibi come mortadella, polenta e cotechino. C’è spazio sia per i ristoranti blasonati sia per i piatti che compaiono sulla tavola dei contadini. Si possono rivedere tutte le puntate attraverso la pagina Rai Play che le raduna. E’ andato perduto l’audio della nona e dodicesima: restano però le immagini.

Lungo il Po, la buona tavola tradizionale ha attraversato i decenni rimanendo quasi uguale a se stessa  – soltanto quasi, però – ed ha conservato fascino ed apprezzamento generale: in questo senso, il “Viaggio” di Soldati conduce in luoghi perlopiù familiari. Il resto che appare nel documentario, invece… Come è diversa, ora, la valle padana.

Nel “Viaggio” colpisce innanzitutto il ritmo narrativo, placido e lento come il corso del fiume. Non c’è traccia dell’abitudine ansiogena, propria della tv contemporanea, di inserire innumerevoli informazioni stupefacenti in pochi, brevissimi secondi. Mario Soldati invece si prende – e offre al telespettatore – tutto il tempo necessario per raccontare e intervistare con calma.

Già questo trasporta in un mondo ben lontano da quello attuale. Lo stesso vale per le immagini di persone e paesaggi. Pochi edifici, poche auto. Distese di campi a perdita d’occhio. La nebbia, le brume invernali, un po’ di neve: nella valle del Po ormai si fanno vedere di rado, così come la nuvoletta del fiato che accompagna Mario Soldati mentre, nella seconda puntata, cammina col bavero rialzato sotto i portici di Cherasco. Gli uomini sempre col cappello in testa. Il dialetto che qua e là traspare nelle voci delle persone intervistate anche quando parlano benissimo l’italiano. A volte il dialetto si rivela addirittura indispensabile in trasmissione: come quando Soldati si rivolge in piemontese al contadino che quasi non riesce ad esprimersi nella lingua nazionale.

Torinese di nascita, Mario Soldati ha dedicato al Piemonte quasi metà del suo “Viaggio nella valle del Po”: 5 puntate su 12. La prima puntata, trasmessa il 3 dicembre 1957, è quella in cui egli usa il dialetto con il contadino che coltiva i cardi gobbi, una specialità della collina torinese. Si tratta di ortaggi tuttora non molto conosciuti altrove. Concludono tipicamente la loro esistenza tuffandosi nella bagna càoda, ignota fuori dai confini piemontesi perfino in questi tempi di globalizzazione gastronomica. Il “Viaggio” mostra come si prepara la bagna (tantissimo aglio; inoltre acciughe, olio e burro) e come la si mangia: bollente, proprio nel senso letterale. Bisogna infatti servirla su un fornelletto acceso.

Mille dettagli, nelle cinque tappe piemontesi del “Viaggio”. I tartufi, il ristorante Del Cambio di Torino dove mangiava Camillo Cavour, il vermouth e i grandi vini, i vitelli “fassone” allevati in modo particolare per avere grandi cosce tenere, il riso del Vercellese e le trote dell’alto corso del Po.

Anche se attraversa con maggiore rapidità le altre regioni bagnate dal fiume, il reportage di Mario Soldati mantiene due costanti: tende a tralasciare i dolci e a prestare invece grande attenzione alle carni. Ecco ad esempio il suo incontro con la salama da sugo ferrarese.

Proprio le carni consentono di notare che i piatti tradizionali della valle del Po hanno attraversato i decenni rimanendo quasi uguali a se stessi: ma soltanto quasi, perché qualcosa è cambiato.

Intendiamoci: le ricette sono rimaste quelle, tuttora molto amate. Ci sono sempre buoi e vitelli, maiali, pollame: con i rispettivi tagli e le rispettive preparazioni. Ma cosa è successo alle rane, allora così numerose? Soldati mostra una donna che pela addirittura un secchio pieno di rane e dice che era abitudine unirle alle frittate primaverili. Cosa resta dell’abbondanza dei pesci di fiume che più volte egli cita? Trote, barbi, cavedani erano cibi pressoché quotidiani. Ora in Po abbonda quasi solo un estraneo, il siluro.

E le anguille, poi. L’ultima puntata del “Viaggio nella valle del Po”, dedicata al delta, mostra una manifattura che lavora le anguille e le inscatola in lattine, più o meno come si fa col tonno: tante se ne pescavano nelle valli di Comacchio, mentre ormai bisogna cercarle col lanternino.

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