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Vent’anni fa: bottiglie di Barolo nella corrente dell’alluvione

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di Andrea Dal Cero

Nel 1994 scrivevo di vino, come del resto ho fatto per quasi tutta la vita. Non c’erano né internet né i telefoni cellulari e le notizie arrivavano ancora lentamente. La notte tra il 5 e il 6 novembre stavo tornando da Milano dove si era tenuta una importante manifestazione enologica. Il pezzo che riporto qui sotto è un articolo che fu pubblicato qualche giorno dopo. Parla di viticoltori di Langa, di amici di quegli anni, parla di tanti vini. Ma parla soprattutto di gente, di sacrifici e di voglia di non arrendersi mai.

Ci eravamo salutati sabato sera all’ora di chiusura dell’Expo. A Milano faceva freddo, pioveva fitto e tirava un vento fortissimo. Stava iniziando la notte tra il 5 e il 6 novembre e nessuno aveva altri problemi se non ritrovare l’ombrello e dove andare a cena. “Ci sentiamo lunedì” ci eravamo detti in tanti. “Sarò in cantina da martedì in avanti” avevano risposto altri. Gli espositori piemontesi erano tranquilli: erano lì per lavorare e cercavano di farlo al meglio.

Al primo grill in autostrada avevo chiesto a Silvio se volesse fermarsi a mangiare, ma lui ascoltava Isoradio e borbottava che stava succedendo qualcosa, che stavano chiudendo alcune strade, che c’erano delle deviazioni. Il traffico era scarso, sull’altra corsia era quasi un deserto. Le auto stavano sparendo e noi eravamo sempre più soli. Alle nostre spalle si preparava la tragedia mentre ci concentravamo sull’asfalto che ci riportava a Bologna.

Il lunedì mattina i quotidiani riportavano le prime notizie di allagamenti e fiumi in piena, ma solo col telegiornale delle 13 si cominciò a capire che le dimensioni del disastro erano imponenti. Ci si telefonava tra colleghi, si chiedevano notizie. Uno mi chiese: “Mi fai telefonare su? Tanto non costa niente, provo soltanto. I telefoni sono sempre muti…”

Martedì la Repubblica titolava a tutta pagina “E’ una catastrofe” e mercoledì “Hanno perso tutto”. Telefonare era ancora impossibile e si leggeva di stabilimenti devastati, cantine spazzate via, vigneti spappolati dalle frane. “Nel Belbo galleggiano centinaia di bottiglie – scriveva La Stampa di martedì 8 – un pezzo importante dell’economia astigiana è stato piegato. Gli stabilimenti Gancia e Riccadonna, nei pressi di Canelli, sono completamente alluvionati. E’ ancora difficile valutare l’estensione del flagello, ma è probabile che la gran parte dei vigneti di Nebbiolo e Dolcetto sia completamente perduta”.

Il telefono dei piemontesi restò muto fino a giovedì. Il primo che mi rispose fu Gigi Rosso: una voce equilibrata e ferma mi arrivava finalmente dall’epicentro del disastro. Combinammo un appuntamento telefonico con Claudio, suo figlio. E da lì, da Castiglione Faletto, mi arrivarono le prime parole vere che in parte ridimensionavano l’entità dei danni ma che mi confermavano quanto grave fosse la situazione di quel territorio.

“L’alluvione ha devastato la valle del Tanaro, ma anche le valli del fiume Belbo e del Bormida e sui colli ci sono slavine, smottamenti e crolli – mi diceva Claudio – mancano tante strade, manca l’acquedotto, interi paesi sono in ginocchio. Le viti se la passano meglio perchè il nostro lavoro devia le acque in un reticolo ben gestito, ma comunque hanno riportato danni notevoli”.

Insomma, la Langa del Vino, quella che sta tra il Tanaro e contrafforti che salgono verso il Belbo e il Bormida, è sostanzialmente salva anche se a Clavesana e Farigliano il fiume non ha risparmiato quasi nessuno e a Monchiero se ne sono andate le botti del grande Barolo del ’90 di Mascarello. Persino il torrente Talloria ha danneggiato un grande commerciante del door to door salvando invece il noto Giordano. Gancia e Riccadonna, contrariamente alle prime notizie riportate dai giornali, ce l’hanno fatta. Anche a Contratto è andata bene. I piccoli e medi produttori di Dolcetto, Barolo, Barbaresco, Nebbiolo, Arneis, Roero e Barbera si dispongono ad aspettare la primavera per risalire i vigneti e sistemare i guasti. Le valli dell’alluvione pensano alla ricostruzione, seppelliscono i loro morti, curano le proprie ferite, preparano il loro futuro.