
Ormai la situazione fa paura, e non è un’espressione esagerata. La crisi idrica che ruota attorno all’inaudita magra del Po ha già portato al razionamento dell’acqua in circa 100 centri abitati del Piemonte e della Lombardia. Con ogni probabilità altri seguiranno. Il fatto è così grave ed inusuale che ne sono occupate anche prestigiose testate internazionali di solito in ben altre faccende affaccendate, come il quotidiano britannico Guardian e il sito di notizie e ricerche scientifiche Phys.org.
Il maggior fiume d’Italia non viene più alimentato dalla fusione della neve (sulle Alpi in inverno ne è caduta ben poca, e quella poca è già sparita) ed è perciò ridotto a un torrente. Il livello è inferiore di tre metri a quello abituale per la stagione. Una cosa del genere non accadeva da 70 anni almeno, perché più indietro nel tempo esistono semmai aneddoti sporadici ma non serie di dati.
E dunque non c’è più acqua per tutti e, salvo imprevedibili capovolgimenti di scenario, ancor meno ce ne sarà nel prosieguo dell’estate. Sono parole pesanti, ma sono anche l’unico modo per riassumere i termini della faccenda. Ovviamente, più si tarda a razionalizzare l’uso dell’acqua più si assottigliano i margini di manovra per gestire la crisi nelle settimane future.
Agricoltura, industria, case private usano rispettivamente circa il 70, il 22 e l’8 per cento del prelievo idrico: la coperta è diventata troppo corta perché i tre settori possano mantenere immutate le rispettive abitudini.
Durante l’ultimo summit dell’Osservatorio sugli utilizzi idrici, riunitosi presso l’Autorità di Bacino del Po, i grandi laghi ed i titolari delle concessioni idroelettriche hanno dato la propria disponibilità a cedere acqua per soccorrere l’agricoltura. Meno acqua nei bacini idroelettrici, che già sono ridotti ai minimi termini, significa minore produzione di energia idroelettrica: proprio ora che c’è poco gas.
Ma la crisi idrica si sta ripercuotendo anche in un altro modo sull’energia elettrica. Tre centrali termoelettriche lungo il Po si sono fermate perché non c’è acqua sufficiente ad assicurare il raffreddamento. Sono gli impianti di Sermide, Ostiglia (tutte e due in provincia di Mantova) e Moncalieri (Torino). Complessivamente, una capacità di 2 MW.
Parallelamente, sono arrivate le prime ordinanze per limitare o addirittura razionare l’uso dell’acqua potabile in un centinaio di Comuni situati sulle Alpi o ai piedi delle Alpi.
Ai residenti in 25 centri abitati della Lombardia situati nelle valli Brembana, Imagna e San Martino, si chiede di non usare l’acqua potabile per scopi diversi da quelli igienici ed alimentari, come innaffiare il giardino, riempire la piscina, lavare l’auto.
Va decisamente peggio in Piemonte: i serbatoi di alcuni acquedotti rischiano di svuotarsi. Per consentirne il riempimento, l’azienda che gestisce l’acquedotto ha sollecitato la sospensione dell’erogazione notturna in un’ottantina di Comuni delle province di Torino, Alessandria, Vercelli. In alcuni centri già sono attive le autobotti.
Fra i Comuni piemontesi a corto d’acqua spiccano Pinerolo, che conta circa 36.000 residenti, e Sestriere, la capitale regionale del turismo sciistico. Il direttore dell’ARPA Piemonte adombra la necessità di un razionamento più generalizzato.
Le parole del presidente del Consorzio di Bonifica Pianura Ferrara possono rendere l’idea della situazione in cui versa l’agricoltura. Stefano Calderoni sostiene che gli impianti di irrigazione stanno per entrare in crisi – questione di un paio di settimane – dato che il Po cala di 7 centimetri al giorno.
Per quel che riguarda la sua zona, Calderoli riferisce che il livello del CER (Canale Emiliano Romagnolo) ha già superato la soglia di attenzione. Il CER costituisce una delle più importanti opere idrauliche italiane. Porta acqua proveniente dal Po nelle province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna assicurando l’irrigazione di 158.000 ettari di terreno agricolo attraverso opere di distribuzione canalizzata.
Se non piove e se il livello del canale calerà ancora di qualche decimetro, gli impianti di irrigazione non potranno più funzionare, dice in sostanza Calderoni, osservando che il grano, ormai maturo, è in salvo ma altre colture (il mais, i pomodori…) continueranno ad avere bisogno d’acqua.
Ma non è ancora tutto. C’è un’altra pennellata importante in questo quadro fosco e grave. Il mare sta mangiandosi il più grande fiume d’Italia ormai ridotto a un torrente. Il livello del Po è così basso che nel delta è prevista una risalita del cuneo salino di 15-20 chilometri. Con tutto quello che questo significa per l’ecosistema fluviale, per le falde sotterranee di acqua potabile e per l’agricoltura.