
Le tormentate vicende del collegamento fra Settimo Torinese e i centri sulla sponda destra del Po costituiscono un’interessante e poco conosciuta pagina di storia. Traghetto o ponte? Fu questo il dilemma che fece discutere cittadini e pubblici amministratori per circa settant’anni.
L’utilità di un ponte sul fiume cominciò a profilarsi chiaramente nel 1887, quando si appaltarono i lavori per la strada provinciale tra Chieri e Gassino, scavalcando la collina torinese. Convinto sostenitore del progetto, il quotidiano “Gazzetta del Popolo” illustrò ripetutamente i vantaggi derivanti da un collegamento stabile fra le due sponde del fiume. Scriveva un cronista nell’agosto di quell’anno: “Le colline giacenti a sud di Gassino, fin sull’Astigiano e sul Casalasco, traggono […] dal Canavese i foraggi, la paglia, pali da vite e molti cereali, mentre in contraccambio mandano al basso Canavese i loro prelibati vini. L’apertura del nuovo ponte sarebbe così uno straordinario allargamento del rispettivo mercato di regioni importanti e popolate”.
Fu allora che l’ingegnere Sebastiano Fiorio redasse un progetto di massima per “un solido ponte a travature metalliche”, a tre campate, con una luce complessiva di 150 metri. L’impalcatura stradale avrebbe dovuto essere costituita da robuste tavole in legname e da longheroni in ferro, sufficienti a sostenere il peso di un’eventuale tranvia a vapore.
Ma la pratica pervenne a un passo dal compimento, poi si arenò. Accantonato il progetto del ponte, le comunicazioni fra le due rive del fiume migliorarono in seguito alla riapertura del cosiddetto porto natante, nel 1922. Il traghetto era costituito da un paio di barconi lunghi circa sedici metri, dal fondo piatto, con la poppa e la prua leggermente rialzate. Sui barconi poggiava un ampio assito con due casotti in legno: uno era adibito a camera da letto, l’altro a cucina del traghettatore e della sua famiglia. Un cavo teso fra le opposte rive agevolava le manovre e impediva alla corrente di trascinare a valle la pesante imbarcazione.
Affondato la mattina del 24 aprile 1945 da militi fascisti in ritirata, il porto natante fu prontamente ricostruito. Di lì a pochi anni, tuttavia, il servizio di trasbordo venne sospeso: l’apertura della centrale elettrica di Cimena, infatti, aveva privato il fiume dell’acqua necessaria per il movimento dei due barconi. Si riprese allora in considerazione il progetto per un ponte sul Po.
Nel 1949 l’amministrazione comunale di Settimo sembrava orientata a costruire un elegante ponte sospeso a tre luci, lungo 119 metri e largo tre. Commissionata l’opera alla ditta milanese Scac (Società Cementi Armati Centrifugati), questa fece pressione affinché si realizzasse un ponte ordinario in calcestruzzo, a sei travate poggianti su pilastri. Successivamente le campate divennero sette, per una lunghezza complessiva di 135 metri. La larghezza dell’opera, però, rimase limitata a tre metri.
Il ponte fu solennemente inaugurato il 2 giugno 1952, sesto anniversario della Repubblica italiana, alla presenza di una grande folla. Si legge in una cronaca dell’epoca: “Dopo che il parroco ebbe proceduto alla benedizione del ponte e dopo che la madrina, adempiendo al rito, ebbe tagliato il simbolico nastro tricolore, la banda musicale intonò l’inno di Mameli e la folla, commista alle autorità, invase il nuovo ponte fra lo scrosciare dei battimani”. Nel suo discorso, il sindaco Luigi Raspini si augurò che altri ponti ideali fossero presto gettati “fra le nazioni del mondo per la pace e la fraternità dei popoli.”