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Piroghe dal Tanaro – Storia del Po

1980
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di Luigi Griva

Sotto l’aspetto dell’archeologia fluviale, il Tanaro è estremamente interessante.  La stessa disposizione, su asse NE-SW , corrispondente alle correnti migratorie dell’avifauna, ha favorito gli insediamenti umani lungo le rive. Come via d’acqua, il collegamento con le regioni agricole e pastorali di Langhe e Monferrato e  – tramite il Po – con i mercati di Lomellina e Lombardia ha esercitato una valenza commerciale e strategica importante. Sin dalla preistoria, una densa antropizzazione delle sponde è testimoniata  da ritrovamenti di accette litiche in aree perifluviali, indizio di sfruttamento dei boschi e fluitazione del legname.

Tra le prime forme di navigazione abbiamo l’uso di imbarcazioni monossili, ossia ottenute da un solo tronco, uso che si è protratto sino in epoca storica. Ce ne sono pervenuti due esemplari: la prima, di cui è stato ritrovato nel 1968  un frammento di circa tre metri e cinquanta  a Perosini di Antignano presso Asti . Scavata in un tronco di rovere ( quercus peduncolata )  presenta sponde  squadrate e un foro passante a prora. La datazione al radiocarbonio ha confermato l’appartenenza al II secolo d.C. (??).

Pure di epoca romana è la testimonianza iconografica che ci viene dalla stele di Cherasco, ritrovata nel 1700  nel territorio dell’antica pieve di San Pietro di Monzone,  oltre il Tanaro, e quasi dirimpetto alla città. E’ riportata  nel Corpus delle iscrizioni romane della Gallia Cisalpina, raccolte da Mommsen  ed Herzen. La stele ritrae con tratti essenziali un barcaiolo – probabilmente  un traghettatore –  seduto a poppa  nell’atto di  vogare a pagaia . L’iscrizione conferma: si tratta della stele funeraria di Magius Gaiellus, figlio di Publio, della tribù Camilia, marinaio . Il più antico marinaio del Piemonte  conosciuto.

L’uso di fabbricare  piroghe monossili  dura però lungamente nel tempo, come ci indica una seconda imbarcazione, questa vola di epoca altomedievale, affiorata in un cantiere di escavazione di sabbia a Motta di Costigliole nel 1969. L’essenza, anche  in questo caso è quercus  peduncolata . Lo scafo  presenta una aggressiva prua rialzata, cinque metri e 14 di lunghezza, circa 80 cm .di larghezza e 50 di altezza . Dall’89 è esposta – come la precedente – al Museo Nazionale di Antichità di Torino.

Si tratta di uno scafo tozzo e corto, adatto per pesca e piccoli trasporti . L’evoluzione tecnica  delle costruzioni navali si orienta quindi verso imbarcazioni formate di tavole, con evidenti risparmi di legname e maggiore manovrabilità.