
La nomea di devastatore seriale di biodiversità precede il noto decapode a stelle e strisce.
É spesso facile giocare con le parole, perdersi nelle dicerie e nei luoghi comuni, ma è altrettanto evidente che questa volta la fama del Procambarus clarkii, Girard, 1852, sia piuttosto meritata.
Argini ricamati dalle gallerie, orde fameliche, brulicanti di alieni generalisti dalla spiccata aggressività, portatori asintomatici di piaghe fungine (la peste del gambero), scivolano su deserti di fango sommerso nelle acque perturbate della pianura. Uno scenario certamente molto lontano da qualsiasi ideale di naturalità.
La specie risulterebbe introdotta in Europa negli anni ’70, mentre la prima segnalazione di una popolazione riproduttiva in Italia risale al 1989 in Piemonte (Del Mastro, 1992).
Interesse commerciale, dimensioni cospicue (gli esemplari di maggiori dimensioni superano i quindici centimetri), resistenza ai patogeni, facilità di allevamento sono tutti fattori che hanno favorito la selezione e al contempo hanno determinato l’invasività del gambero rosso della Louisiana.
Si tratta di animali robusti, incredibilmente plastici che tollerano condizioni ambientali estreme. Mostrano una capacità riproduttiva esplosiva, raggiungono la maturità sessuale in tempi record (circa tre mesi), sostengono situazioni di anossia, sono in grado di abbandonare corsi d’acqua per compiere spostamenti in ambiente subaereo, raggiungendo anche raccolte effimere ed isolate, con un enorme danno alla biodiversità (agendo su necromassa, alghe, piante aquatiche, ovature, invertebrati e piccoli vertebrati), nonché di resistere infossati nelle gallerie allagate durante la messa in secca degli scoli.
Il micidiale gambero killer si è rivelato nel tempo un’incredibile risorsa alimentare per i tanti predatori della acque interne e un acceleratore per un ulteriore cambiamento nella stessa composizione dei popolamenti faunistici. Non manca, anche in Italia, l’utilizzo alimentare umano, alla base della stessa importazione del crostaceo nel nostro paese. Resta che, per non mancare alla sua pessima fama, il gambero si presenta come un alimento potenzialmente a rischio, passibile di forte accumulo di metalli pesanti e tossine algali, ovviamente dipende dei siti da cui viene attinto. Uno studio del 2001 (Anda et al.) evidenzia anche la possibile trasmissione di batteriosi, in particolare tularemia.
Cosa c’è di peggio di un gambero americano libero nel posto sbagliato? Tre gamberi americani, o, meglio, le tre specie d’oltreoceano che ritroviamo nelle nostre acque. Ebbene, si è assistito, nel tempo, alla colonizzazione di altre due specie d’oltreoceano.
Al ben noto P. clarkii, il gambero della Louisiana, dobbiamo aggiungere anche l’Orconectes limosus (Rafinesque, 1817), di recente rinominato Faxonius limosus, il gambero di fiume americano, il primo ad essere importato in Europa già alla fine del diciannovesimo secolo e verosimilmente giunto nelle acque nazionali ospite di partite di pesce non verificate. Infine il Pacifastacus leniusculus (Dana, 1852), il gambero della California. Quest’ultima è una specie importata in Europa negli anni ’60 con un impatto devastante sulle popolazioni autoctone, ma nettamente meno diffusa. Risulta localizzata nel nord est del nostro Paese e in potenziale espansione verso le terre del Po. Si hanno poi evidenze di altre specie di gamberi esotici importati nei modi più vari: partite di pesce non controllato, per allevamento, aquariofilia, come esche. Le segnalazioni, infatti, non si fermerebbero qui, ma, per ora, limitiamoci a queste tre specie americane.
Come riconoscerli? Basta qualche piccola accortezza e in particolare prestare attenzione ad alcuni caratteri diagnostici.
La presenza di spine evidenti, speroni che ornano l’esoscheletro è un allarme, ci troviamo davanti a gamberi alloctoni. Una spina nel segmento articolato immediatamente a valle della chela (nel carpo), identifica il gambero americano e quello della Louisiana, entrambi ascrivibili ala famiglia dei Cambaridi, le due specie più comuni identificabili nelle acque della nostra pianura. Il cefalotorace, la corazza che copre la zona dorsale, nel gambero della Louisiana mostra due suture evidenti a forma di parentesi (solco barchiocardico) che arrivano a toccarsi al centro, mentre nel vicino parente le due suture sono distaccate e non si toccano.
Appartenente ad un’altra famiglia, quella degli Astacidi, la stessa del nostro gambero di fiume indigeno, è la nostra terza specie americana: il P. leniusculus. Quest’ultimo appare molto simile alla specie italiana, privo di spine, ma, a differenza degli esemplari autoctoni, mostra delle creste post orbiculari doppie. Notare le due creste può sembrare improbabile, soprattutto quando a livello delle chele sono presente due evidenti chiazze bianco azzurre e la faccia inferiore delle stesse è rosso acceso, tanto da far guadagnare al crostaceo il nome di gambero segnalatore. Va però detto che i colori possono trarre in inganno, soprattutto nelle classi giovanili, anche senza arrivare a casi estremi come esemplari blu o albinotici.
Questi sono solo alcuni degli inequivocabili, ma veramente piccoli dettagli che ci aiutano a districarci in una interessante selva di specie portate a colonizzare nuovi ecosistemi per incuria, speculazione, ignoranza, tutte “doti” che questi crostacei, di qualsiasi specie siano, non possiedono.