
di Gian Luigi Casalgrandi
Abbiamo atteso che il clamore mediatico si attenuasse per parlare, anche noi, della tragedia che ha colpito nei giorni scorsi una famiglia di Sassuolo, abitante nel quartiere Ancora. Un dramma sul quale stanno indagando gli inquirenti, che ha visto coinvolte quattro sorelle, fra gli 8 e i 22 anni, finite nelle acque del fiume Secchia, nella zona di Borgo Venezia, vicino al paese. Drammatico il bilancio: una piccola di 8 anni e la sorella di 18 morte, mentre i vigili del fuoco e i sanitari del 118 sono riusciti a salvare la sorella maggiore di 22 anni trasportata all’ospedale con l’eliambulanza. Illesa ma sconvolta la quarta sorella di 11 anni, che è riuscita a dare l’allarme. Distrutti dal dolore i genitori, la sorella maggiore Kawtar, l’unica che non era al fiume, che non si danno pace per quanto è successo; attoniti, parenti ed amici, in lutto assieme a tutta la comunità.
Anch’io appartengo al Secchia: mia madre era originaria di San Michele dei Mucchietti, frazione di Sassuolo e sono nato a Villa Freto, alle porte di Modena, a pochi metri dalla riva destra del fiume. Come abbiamo fatto anche noi da ragazzi decine di volte, le quattro sorelle, anche se in quel tratto del fiume vige un divieto di balneazione, si sono recate al fiume per trovare un po’ di refrigerio. Sembra che la tragedia sia partita da un malore accusato da Hajar di 18 anni, pare la prima ad entrare in acqua. Alle sue grida sono accorse in aiuto due delle sorelle, Khadija (9 anni) e Khaoula (21) mentre quella di 11, come detto, sarebbe corsa a cercare aiuto (sembra che nessuno di loro sapesse nuotare).
Purtroppo non è la prima volta che accadono simili disgrazie: i fiumi d’estate, anche quando c’è scarsità d’acqua, sono infidi: in un tratto del letto si tocca e a pochi passi, possono esserci buche profonde parecchi metri.
Sarebbe utile e auspicabile, secondo noi, che, oltre ai cartelli con il divieto di balneazione, nei tratti maggiormente frequentati dai bagnanti, prevedere la presenza di un bagnino, o perlomeno un volontario della protezione civile, perché simili tragedie non si ripetano più.
Sì, vabbé… Però…
Pubblichiamo questa amara testimonianza perchè Gian Luigi, oltre che bravo professionista dell’informazione da sempre, è un uomo che ama il fiume e il suo territorio:un vero Gaffista. Le sue parole le sue emozioni ci toccano profondamente, ma non riusciamo razionalmente ad essere d’accordo con lui per due diversi tipi di considerazioni.
La prima riguarda i bagnini o i volontari della protezione civile. Non riteniamo sia possibile o auspicabile ricorrere a operatori della funzione pubblica sull’orlo dei precipizi, sulle sponde dei laghi e dei fiumi, sulle montagne o davanti agli edifici pericolanti, per difendere le persone dalla loro impreparazione al vivere comune. Sarebbe una realtà alienata ed alienante in cui ognuno soccorrerebbe l’altro senza soluzione di continuità logica e soprattutto priva di ogni utilità sociale.
La seconda riguarda invece la conoscenza dell’ambiente in cui si vive che in tanta gente risulta oramai scomparsa definitivamente. Spesso questo tipo di tragedie riguardano persone che nel territorio fluviale non hanno le loro radici e poco importa il colore della loro pelle o la storia che le ha condotte tra noi. Sono quasi sempre persone che non conoscono il fiume, che non sanno nuotare, che ignorano completamente le dinamiche delle correnti e l’incostanza dei fondali. Nessuno le ha portate a fare il bagno in fiume quando erano bambine, nessuno ha loro insegnato il rispetto che il fiume pretende in cambio del refrigerio e del divertimento che è capace di dare. E’ in questa fase di conoscenza e di approccio al territorio che bisognerebbe intervenire spiegando bene a tutti, grandi e piccoli, come funzionano le cose. Potrebbe essere argomento trattato nelle scuole comunali del bacino fluviale, potrebbe essere ipotesi di condivisione tra persone di origini diverse, potrebbe e dovrebbe essere un ulteriore momento di crescita di intere comunità.