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Legge Regionale di riorganizzazione dei Parchi: Legambiente Lombardia chiede la creazione del Parco del Fiume Po

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Secondo la legge regionale 28 di razionalizzazione dei Parchi, approvata a novembre da Regione Lombardia, entro il 18 aprile i 24 attuali Plis dovranno decidere se procedere all’accorpamento o scegliere l’autonomia. La Regione ha dato solo linee guida indicative per avviare l’iter senza, però, indicare alcuna procedura né tanto meno eleggere un ente di riferimento capace di favorire il processo aggregativo, tant’è che ha assegnato ai Parchi regionali il compito di esercitare tale delega di coordinamento, senza tuttavia dotarli di risorse dedicate né di reale autorità nei confronti dei soggetti che non vorranno conferire tale responsabilità gestionale al parco regionale di riferimento. L’unica realtà che si è assunta tale ruolo di coordinamento è la Città Metropolitana Milanese, coinvolta nel processo di riforma in virtù della sua veste atipica di ente gestore del Parco Agricolo Sud Milano, favorendo il dialogo tra i parchi regionali compresi nel relativo ambito e gli enti gestori dei numerosi PLIS che costellano il territorio metropolitano e l’adiacente pianura pavese, ad ovest del Ticino, che rientra nella macro area prevista dalla norma regionale.

«L’attuale legge è insufficiente per affrontare la sfida contemporanea della riorganizzazione dei parchi regionali – sottolinea Marzio Marzorati, responsabile Aree Protette di Legambiente Lombardia il testo non stabilisce una regia nella pianificazione delle aree omogenee e le Linee Guida della Regione appaiono incomplete e superficiali, non indicando una modalità di coordinamento che porti a proposte omogenee e coerenti con le Macro aree e con le effettive opportunità di gestione e attuazione. Ci sembra che manchi una strategia di lungo termine da parte della Regione sul futuro delle aree verdi lombarde, per mettere la tutela del suolo al centro dello sviluppo locale. Si è persa, così, un’occasione per far nascere la Rete Ecologica regionale e far diventare le tutele cogenti dal punto di vista territoriale».

La legge innesta un processo verticistico e di carattere prettamente amministrativo, ma non promuove la partecipazione, in un settore molto delicato, in cui ad esempio potrebbero innestarsi percorsi di progettazione territoriale per promuovere l’utilizzo delle risorse della politica agricola comunitaria, che fino ad oggi sono quasi sempre lasciate all’iniziativa delle singole aziende invece di rafforzare la gestione del territorio rurale nelle aree protette. L’obiettivo importante di riportare l’agricoltura a una funzione di conservazione delle risorse naturali e di tutela del paesaggio e ricondurre la città a ritrovare la sua impronta ecologica nella terra a lei prossima, viene meno nel momento in cui nel processo decisionale vengono esclusi i portatori d’interesse (associazioni, agricoltori e operatori economici che svolgono la loro attività nelle Aree protette). La legge di riforma tratta in modo marginale gli enti gestori dei Plis, non avendo conferito loro una funzione strategica nella riorganizzazione del sistema delle aree protette e sottovalutandone le potenzialità di sviluppo in funzione della creazione di un efficace sistema interconnesso di protezione ambientale e territoriale.

Pertanto Legambiente ha deciso di promuovere una serie di incontri nei territori delle 9 Macro aree individuate dalla normativa, per avviare un dialogo sulla riforma e spingere le popolazioni locali e i diversi attori economici interessanti alla valorizzazione delle aree protette verso una maggiore consapevolezza, per trovare risposte efficaci alle gravi difficoltà gestionali. Si parte dal pavese, dove sussistono le maggiori difficoltà, con l’incontro promosso dal coordinamento provinciale dei circoli di Legambiente.

Alcune aree si scontrano con difficoltà di carattere territoriale e culturale, come gli interessi degli agricoltori oppure le posizioni diverse delle comunità dei territori montani, fattori rilevanti nel processo di aggregazione. Le risorse economiche scarse non sono certamente un incentivo per sollecitare fusioni e nuove prospettive di gestione delle Aree Protette. I Parchi altresì non sono abituati a lavorare insieme in termini di gestione delle risorse o di progettazione.

Tra le 9 macro aree una delle più problematiche è quella del Ticino, dove l’accorpamento obbligatorio delle aree Natura2000 della Lomellina potrebbe rappresentare un’occasione unica di espansione della protezione e della pianificazione integrata dei siti europei, ma serve necessariamente il coinvolgimento e la mediazione del mondo agricolo, che deve diventare un alleato di questo passaggio, per superare i conflitti locali esistenti tra le necessità di restrizioni per favorire la protezione ambiente e le esigenze dettate dallo sviluppo agricolo.

Un discorso a parte merita l’Oltrepò che non ha mai saputo e voluto creare un’area di conservazione e protezione ambientale significativa, nonostante le tante opportunità generate da ingenti risorse riversate in questo territorio dai fondi europei, dalla Regione e da altri Enti.

Ma l’ambito al centro dell’attenzione di Legambiente è quello del fiume Po, che nella riforma non viene compreso in una macro area specifica e viene assegnato ad una eccessiva numerosità di enti gestori, ciascuno per la propria area di influenza. La rete ecologica non viene considerata in questo processo aggregativo e i corridoi ecologici rimangono una ragnatela teorica della biodiversità, senza alcun impegno di conservazione delle connessioni: «Non possiamo lasciare che anche l’attuale riforma manchi l’obiettivo di una tutela integrata per l’intero sviluppo del nostro grande fiume, che oggi versa in uno stato totale di abbandono ambientale e naturale, a danno sia della biodiversità del territorio che della fruizione turistica – sottolinea Marzorati – Per noi la sfida è proprio quella di veder nascere la grande area protetta fluviale del Po, a cui deve essere restituita la piena dignità di un paesaggio fluviale, oggi sminuito e banalizzato da troppe forme di sfruttamento e da un’agricoltura intensiva, oltre che da attività economiche e grandi progetti che ancora puntano all’abuso delle risorse naturali del fiume».