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Le navi dell’Abbazia Benedettina di Nonantola

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di Gian Luigi Casalgrandi

Dopo la caduta dell’Impero Romano, col conseguente abbandono della viabilità primaria, nel Medioevo le vie d’acqua divennero gli assi principali su cui avveniva il trasporto delle merci. In una nota spese del Monastero Abbaziale di Nonantola detto Camerlengo, risalente al 1750, si legge che i monaci (in quel momento circa 20 monaci Cistercensi reggevano il monastero) tra gli alimenti che compongono la loro ricca dieta (uova, fagioli, riso, carne di maiale, capretto, piccioni, insaccati, latte e formaggio, butirro ecc…) molto spesso il pesce rappresenta il pasto principale della giornata, specialmente nei periodi di magra. Difatti in varie occasioni troviamo annotato, con relativo prezzo, svariate qualità di pesce come: luccio, tinca, sardelle, caviale, frittura di pesce, saracche, pesce marinato, anguilla marinata, rocchi d’anguilla; ed ancora: tonno, baccalà, anguilla salata, stortine, cazzotti d’anguilla, acciughe e pesce di mare. Sotto la voce vitto si trovano ancora spezie come: cannella regina, ceci franti. Tra gli oggetti e suppellettili: corda forzata, bicchieri di Boemia, zucchette d vetro, candele di sego e stoppini per lampade da illuminazione. Altra notizia degna di interesse: nel Marzo del 1700 (Quaresima) la nota spese per gli alimenti contempla solo pesce, con l’eccezione di uova e butirro. Tutta merce giunta a Nonantola per le vie d’acqua, dunque.  Difatti, da antichi documenti conservati nell’archivio abbaziale, emerge che nel 1223 l’abbazia di Nonantola è proprietaria di una flotta di navi e due porti sul canale Bondeno – Burana (ora scomparso) con le quali si spingevano fino a Treviso, scendevano il Panaro ed il Po, penetrando successivamente nelle lagune venete e nei porti del Mare d’Adria, l’Adriaticum, dove veniva acquistato anche pesce fresco di mare per servirlo poi sulle mense abbaziali.