
Non sempre tutto quello che c’è si può vedere. Anche nell’ultima pozza rimasta nel più dimenticato collettore di pianura, dove l’acqua ha perso ogni sua parvenza e appare ormai solo fango, qualcosa può nascondersi, anzi decine di “cose”.
Corpi bruni, viscidi, anguilliformi, ricoperti di muco, infossati nella melma asfittica, si agitano sotto l’ultimo filo d’acqua, mentre il cielo si fa nero e si preannuncia nubifragio. Estroflessioni carnose, “tentacolari”, cingono a guisa di molli corone le bocche di quanto potrebbe essere stato partorito da un racconto dell’incubo di H.P. Lovecraft.
Come nei grandi miti classici, schiere di ibis sacri affondano il becco nella mota e si avventano sui corpi vermiformi estratti dal fango facendone banchetto. Non siamo né in Asia né in Egitto, ma lungo le canalette del ferrarese, affacciati su qualche risaia o valle da poco messa in secca. Nessun mostro proveniente da altri mondi, anche se, in qualche modo, di alieno comunque si tratta.
Protagonista è il Misgurnus anguillicaudatus (Cantor, 1842), conosciuto anche come cobite di stagno orientale, un esotico “abitatore del fango”. Una delle tante forme acquisite, alloctone, che ormai popolano le nostre acque interne.
Questo grosso cobite asiatico (lunghezza media: 15 cm) si è guadagnato i favori degli acquariofili ed ora risulta fra le specie invasive, complice la sua estrema resistenza in ambienti che vengono stagionalmente resettati, come accade negli scoli della nostra regione.
Specie robusta, in grado di adattarsi anche a situazioni relativamente inquinate e anossiche, è capace di spostarsi nel fango scivolando e forzando la marcia sulle pinne e sul corpo anguilliforme, nonché di sopportare periodi di stress idrico infossato nel terreno intriso d’acqua, forte di una respirazione sviluppata a livello delle mucose dell’apparato digerente (inghiotte boccate d’aria) associata a quella branchiale,
La reazione frenetica ai cambiamenti della pressione atmosferica osservata nella specie, ha dato al pesce il curioso nome di pesce barometro.
La strana creatura è prettamente bentonica, di fondale, dotata di efficaci appendici sensoriali, barbigli che ne orientano l’alimentazione opportunista e la predazione di piccoli invertebrati. Alle già spiccate doti di adattamento, si aggiunge la capacità di filtrare microrganismi, inghiottendo quando rimasto invischiato nel muco secreto a livello branchiale.
Un nuovo invasore, una nuova forma opportunista, una nuova fonte trofica per i molti predatori esotici o meno. Con i cobiti di stagno orientali siamo, per l’ennesima volta, semplicemente di fronte all’errore umano che forza e accelera quel cambiamento costante e senza più freni della natura del Bacino del Po. Nuove specie entrano in campo, nuovi sottili e dinamici equilibri si creano e si disfano, ma tutto avviene in modo troppo, troppo, veloce.
Francesco Nigro