
Primo ponte in pietra della città, a cinque arcate ellittiche di 25 metri ciascuna, impostate al pelo delle basse acque, lungo 150 metri e largo 12,90 (carreggiata di 8,30 e due marciapiedi di 2,30 ciascuno), fu voluto da Napoleone I, che, tornando nel dicembre 1807 da un viaggio nelle province venete, si soffermò tre giorni a Torino, dal 26 al 28, ed intuì subito l’importanza di stabilire una comunicazione sicura attraverso il maggior fiume d’Italia, in luogo del vetusto e degradato ponte in legno e mattoni da lui attraversato, risalente al 1405, che rispondesse alle esigenze del commercio ed alla convenienza del decoro della città, per cui emanò il decreto imperiale di costruzione il 27:
“Napoléon Ier Empereur des Français et Roi d’Italie, Protecteur de la Confédération du Rhin, Médiateur de la Confédération Suisse, toujours grand dans la paix et dans la guerre, par son décret du 27 Décembre de l’an 1807, a accordé à sa bonne ville de Turin un pont en pierre sur le Po.”[1]
Incaricato dei disegni fu l’ingegnere Claude Joseph La Ramée Pertinchamp, dell’École des Ponts et Chaussées, ingegnere capo nel dipartimento del Po: il progetto presentato il 15 febbraio 1808 ed approvato il 15 aprile dello stesso anno reca la descrizione della costruzione: “Longuer de l’arc du pont, 152 mètres, 5 décimètres. Hauteur du pavé au-dessus des plus basses eaux, 10 mètres, 203 millimetres”.[2]Gli elaborati definitivi del 10 luglio 1809 ricevono l’approvazione del conte Molé, direttore dei Ponts et Chaussées, il 19 ottobre.
La posa della prima pietra
L’elaborazione del progetto, i rilievi e l’inizio dei lavori di pilotaggio procrastinarono la posa della prima pietra da parte del principe Camillo Filippo Lodovico Borghese, marito di Paolina Bonaparte e governatore des Départements au de la des Alpes dal 1808 al 1814, alla mattina, fra le 10 e le 12, di giovedì 22 novembre 1810. Per questa cerimonia, la più solenne del tempo dell’occupazione francese, venne compilato un elaborato programma, studiato in ogni dettaglio dal maire Joseph Negro, con l’approvazione del prefetto generale, barone Alexis Lameth. Alla cerimonia erano presenti tra gli altri il Conte Montalivet, ministro dell’interno, il prefetto Lameth, il sindaco Negro, l’autore del progetto, i direttori dei lavori e l’arcivescovo. Il giorno della posa della prima pietra tutta la popolazione di Torino prese parte ai festeggiamenti: le rive del fiume, l’anfiteatro, creata per accogliere durante la cerimonia le autorità civili, militari e giudiziarie e le persone più importanti della città, le gallerie erano gremiti di folla. Dai balconi, dalle terrazze e persino dai tetti, i Torinesi osannarono l’Imperatore.
All’uscita dal Palais Imperiale del Principe Borghese il cannone si mise a tuonare e contemporaneamente si mise in moto il carretto trainante la pietra.
Il Principe Borghese, scortato da un folto gruppo di autorità, attraversò un arco di trionfo e percorse il ponte di servizio, in legno, che era stato preparato a festa con tutte le altre attrezzature: da entrambi i lati gli ordegni di pilotaggio ornati d’orifiammi e ghirlande ed assistiti da nubi di operai, fra i quali una compagnia di soldati spagnoli prigionieri di guerra, sfoggianti nastri e coccarde.
La pietra che doveva essere ufficialmente posta per prima fu portata su di un carretto decorato, trainato lentamente da tre coppie di buoi bianchi inghirlandati con pallio di porpora e corna indorate. La seguivano quattro portatori e due valletti recanti gli strumenti che sarebbero stati utilizzati dal Principe.
L’iscrizione della prima pietra recava inciso “Napoleone I Imperatore dei Francesi e Re d’Italia, Protettore della Confederazione del Reno, Mediatore della Confederazione Svizzera, sempre grande in pace e grande in guerra, aveva, con decreto 27 Dicembre dell’anno 1807, accordato alla sua buona e fedele città di Torino”.
Raggiunta la testata del ponte, vi furono nuove salve d’artiglieria da parte dei cannoni posti lungo il perimetro di questa, mentre il prefetto generale Lameth, il consiglio di prefettura, il segretario generale, il sindaco Negro, la giunta, gl’ingegneri del corpo imperiale dei Ponti e Strade si schierarono a riceverli. Mentre il Principe attraversava il ponte provvisorio, la pietra veniva calata dalla rampa.
Camillo Borghese prese posto su di un palco a forma di emiciclo, provvisto di una loggia per l’orchestra. Il prefetto Lameth, circondato dalle eminenti personalità di cui sopra, gli rivolse un discorso breve e solenne:
“Monsieur,
Le règne de l’Empereur Napoléon ne sera pas moins recomandable à l’admiration de la postérité par les prodiges des arts guerriers. La nature a été vaincue comme les nations, et le Mont Cénis et le Simplon constateront la puissance du génie de l’Empereur, comme les champs de Marengo et d’Austerlitz. Ce n’était pas encore assez pour la munificence de S.M. d’avoir ouvert les Alpes de toute part, en y réalisant des travaux jugés au-dessus du pouvoir des hommes : elle a voulu que les routes et les fleuves d’Italie fussent décorés par des monuments dignes de son antique splendeur.
La ville de Turin qui s’honore de la prédilection de l’Empereur ne pouvait en recevoir une preuve plus éclatante, que cette libérale détermination soussignée dans le décret du 27 décembre 1807, qui ordonne l’erection d’un grand pont dont la magnificence surpassera encore celle des édifices de cette cité remarquable.
Ces travaux placés sous les auspices de Votre Altesse Impériale, qui daigne en poser les premiers fondaments vont recevoir une impulsion nouvelle de l’intérêt qu’elle y verront terminer un ouvrage que les siècles pourront à peine détruire.
Cependant, Monseigneur, la durée de ce monument aura un terme: le bronze qu’il renferme, destiné à transmettre aux générations futures les grands événements du règne de Napoléon, sera lui-même usé par les temps. La gloire de l’Empereur est imperissable”.[3]
Al discorso del prefetto il governatore rispose:
“Monsieur le Prefet,
J’eprouve un véritable plaisir de donner ici avec Vous, la première impulsion aux travaux d’un monument durable de la bienveillance de l’Empereur pour le département que vous administrez avec tant de zèle et de succès.
S’il est flatteur pour moi d’être aujourd’hui le principal ministre d’un bienfait aussi signalé, il est bien glorieux pour que, par l’effet de cette cérémonie notre nom doive se rattacher unjour au souvenir qu’en conserveront encore les générations les plus reculées”.[4]
Dopodiché il Prefetto Lameth presentò “il Tesoro”, che è tuttora rinchiuso alla base del pilone centrale del ponte: in un cofanetto di legno di cedro, furono collocati un campione d’argento del metro, questa misura lineare, simbolo della recentissima applicazione del sistema metrico-decimale, che era stato adottato da appena un anno, era stata scrupolosamente verificata dal controllore dei pesi Capel sulla taglia in ferro data in custodia all’Accademia delle Scienze, due targhe in metallo con iscrizioni commemorative di Vernazza in latino e di Déperret in francese, membri emeriti dell’Accademia delle Scienze, che illustrano le motivazioni che hanno portato alla costruzione del ponte, ed un piccolo tesoro di 79 medaglie d’oro, d’argento e di bronzo, coniate per celebrare le vittorie di Napoleone ed i principali episodi dell’epopea napoleonica, e di 10 monete di recente conio; metro e tavolette furono chiusi in un tubo di vetro lavorato e il tutto rinserrato nella cassa di cedro dove le monete furono poste in ordine di data che va dal 1797 al 1810. Il tesoro era così composto.
1 Capitolazione di Mantova, 30 Gennaio 1797
2 Le scienze e le arti riconoscenti: pace segnata l’anno VI
3 L’Egitto conquistato nel 1798
4 Conquista del Basso Egitto, l’anno VII
5 Conquista dell’Alto Egitto, l’anno VII
6 Arrivo al Frejus il 17 Vendemm., an. VIII
7 Traslazione del corpo di Turenna al Tempio di Marte, an. VIII
8 Battaglia di Marengo in Pratile, an. VIII, I Console, comandante l’armata di riserva
9 Battaglia di Marengo, 25 Pratile, an. VIII
10 Il generale Desaix è ferito a morte: «Allez dire au Ier Consul que je remporte le regret de n’avoir pas fait assez pour vivre dans la postérité»
11 Attentato alla vita di Bonaparte, il 3 Nevoso, anno IX
12 Pace di Luneville, il 20 Piovoso anno IX
13 Pace interiore, pace esteriore, decretata nel 30 Fiorile an. 10, 20 Maggio 1802
14 Pace d’Amiens, 6 Germinale, an. X
15 Ristabilimento del culto, il 18 Germinale, an. X
16 Subalpinis imperio gallorum sociatis
17 L’Annover occupato dall’armata francese in Giugno 1803
18 L’anno IV di Bonaparte l’istruzione pubblica è organizzata
19 Alle arti la vittoria, l’anno IV del Consolato di Bonaparte
20 Museo Napoleone
21 La Fortuna conservatrice, l’an. IV di Bonaparte
22 L’anno XII il Codice civile è decretato
23 A Boulogne, 28 Termidoro an. XII, Honneur légionnaire aux braves de l’armée
24 Gallia renovata, auspice Napoleone
25 Scuola delle mine del Monte Bianco
26 Vitikind R.S. Frédéric Auguste R.S., Charlemagne empereur, Napoléon empereur
27 Le Sénat et le peuple, l’an XIII
28 Bandiera regalata all’armata da Napoleone I al Campo di Marte, il 14 Frimaio, an. XIII
29 Imperator sacratus, 11 Frimaire, an XIII
30 Napoléon aux mânes de Desaix
31 Prima pietra della tomba di Desaix al Monte del Gran San Bernardo
32 Tutela presens
33 Aquila imperiale
34 Scuola di medicina
35 En Janvier 1805 S.S. Pie VII a visité la monnaie des médailles
36 Napoleone Re d’Italia, coronato a Milano il 23 Maggio 1805
37 L’Imperatore comanda la grand’armata, levata dal campo di Boulogne, il 24 Agosto 1805
38 Allocuzione all’armata; l’armata fece giuramento di vincere, il 12 Ottobre 1805
39 17 Ottobre 1805, capitolazione d’Ulma, Menningen; 40000 prigionieri
40 Gli Austriaci vinti, bandiera francese ripresa
41 Presa di Vienna e di Presburgo nel 1805
42 Pannonia subacta
43 Entrevue de l’emper. Napoléon et de l’emper. François II, le 4 Décembre 1805
44 Battaglia di Austerlitz, 2 Dicembre 1805
45 Alessandro I e Francesco II
46 Venezia resa all’Italia, il 26 Dicembre 1805
47 Pace di Presburgo, 26 Dicembre 1805
48 Azioni di grazia per la pace, ordinate a Vienna dall’imperatore Napoleone, il 28 Dicembre 1805
49 Colonna della grand’armata, campagna del 1805
50 Pontem Rhodani feliciore situ restituit
51 Souveraineté donnée, 1806
52 Confederazione del Reno
53 Exercitu ad Jenam delecto, XIV Octobri 1806
54 Battaglia di Jena
55 Alleanza 1806. Stephania Napoleone C. F. Luigi di Bade
56 Porta di Brandeburgo, l’imperatore entra a Berlino, il 27 Ottobre 1806
57 Occupazione d’Amburgo, 1806
58 Alle armate 1806. Arco di trionfo del Carrosello
59 La Dalmazia conquistata nel 1806 dalla pace di Presburgo
60 L’Istria conquistata nel 1806
61 Conquista di Napoli, 1806
62 Berlino, Varsavia, Koenigsberga, campagne del 1806 e 1807
63 Erection du Royaume de Vestphalie
64 J. Napoléon C. di Wurtemberg, 1807
65 Battaglia di Pruss-Eylau, 8 Febbraio 1807
66 Signis ultra Vistulam constitutis, 1807
67 Battaglia di Friedland, 14 Giugno 1807
68 14 Giugno, Marengo, Friedland
69 Libertas Dantisco (Dantzik) restituta, 1807
70 Otto III Boleslao a Mi. Neapolio Friderico Aug. a 1807
71 Conquête de la Silésie
72 Napoleone a Ostenda
73 Pace di Tilsitt, 1807
74 Entrata dei Francesi a Madrid, il 4 Dicembre 1808
75 S.M. le roi de Saxe visite la monnaie des médailles en Décembre 1809
76 Leur Majestés le roi et la reine de Bavière visitent la monnaie des médailles en Février 1810
77 Napoleone, E. et R., Maria Luigia d’Austria, 1°Aprile 1810
78 S.A.I. le prince Ferdinand, gran duc de Wurtzbourg, visite la monnaie des medailles en Juin 1810
79 Monumento a Desaix, il 4 Agosto 1810
80 una pezza d’oro da 40 franchi del 1810
81 una pezza d’oro da 20 franchi del 1810
82 una pezza d’argento da 5 franchi del 1810
83 una pezza d’argento da 2 franchi del 1810
84 una pezza d’argento da 1 franco del 1810
85 una pezza d’argento da ½ franco
86 una pezza d’argento da ¼ franco
87 una pezza d’argento da 50 centesimi
88-89 deux quinaires pour le couronnement
La scatoletta di legno fu chiusa in un recipiente di piombo a tenuta stagna contenente del carbone pestato ed il tutto fu murato in una nicchia, predisposta nella pietra fondamentale. Finalmente si giunse al momento della posa: il principe gettò una cazzuolata di calcina sul blocco contenente la cassetta e lasciò spazio al capomastro che continuò le operazioni di muratura.
Poi, secondo il programma, Camillo Borghese controllò con regolare filo a piombo la posizione della pietra e vi assestò un simbolico colpo di martello. L’arcivescovo provvide alla benedizione e la cerimonia finì, con musiche e salve d’artiglieria, tra gli applausi di una folla strabocchevole. A
mezzogiorno la cerimonia finì, ed il corteo, imponente e numerosissimo si avviò ad un brillante ritorno. Alla sera fu organizzato uno spettacolo pirotecnico ed il cielo nero venne illuminato dai fuochi di bengala che disegnarono, sul buio della notte, la sagoma del ponte atteso da secoli.
Ecco come Filippina di Sales, marchesa di Cavour, descrive la cerimonia nel suo diario:
“Torino 23 novembre 1810
Ieri è stata posata la prima pietra del ponte verso la collina di cui si parla ormai da più di sei anni e che io desidero molto poiché lo considero un simbolo di apertura per la mia città. Abbiamo approfittato del pomeriggio eccezionalmente tiepido per la stagione e Adele si è unita a noi e ha persino percorso un tratto di strada a piedi, poiché era vietato arrivare con la vettura fino alla riva del fiume, per motivi di sicurezza. La scenografia era grandiosa, era stato predisposto un grande anfiteatro per ricevere le autorità civili e militari e tutte le persone di spicco della città. Quando il principe Borghese ha deposto la prima pietra, colpendola poi con un martello, si sono udite dieci salve d’artiglieria e poi la musica allegra e trascinante delle fanfare militari. La festa è continuata fino a sera, con fuochi d’artificio e balli lungo le rive del fiume”.[5]
La costruzione
La direzione della costruzione fu affidata in principio allo stesso Pertinchamp, sostituito poi dall’ingenier Charles François Mallet, che ebbe come collaboratore Pellegrini: costruito dai tecnici di Napoleone con sagace avvedutezza, sostituì due precedenti costruzioni e risponde ancor oggi alla sempre crescente mole del traffico. Il progetto fu eseguito con assoluta fedeltà e notevole capacità tecnica. La pietra per la costruzione venne estratta dalle cave di Cumiana. I lavori per la costruzione proseguirono ininterrottamente per quattro anni e nulla venne trascurato per assicurare al ponte solidità; i difficili lavori di palificazione furono eseguiti da un drappello di prigionieri spagnoli,[6] che impiegarono prevalentemente materiale di recupero del ponte demolito e della chiesa dei santi Marco e Leonardo ed ebbero alcune difficoltà nel lavoro a causa delle molte sorgenti presenti sotto il livello medio delle acque fluviali.
Ecco come sono descritti questi prigionieri spagnoli nel ricordo del generale Enrico Della Rocca:
“Questo pel 1811. Per il 1812 dirò che rammento come fra le passeggiate che facevo talvolta coi miei fratelli, accompagnato dal vecchio servitore, la più piacevole fosse per me quella dei viali che dallo sbocco della lunga via di Po conducevano sui bastioni della città, passando presso al Ponte Nuovo che, per ordine dell’Imperatore Napoleone, si stava costruendo. Alla costruzione si facevano concorrere molti prigionieri di guerra, la maggior parte Spagnuoli, presi in quella celebre campagna che, iniziata nel 1808, non doveva finire se non con l’impero napoleonico. Erano tenuti nella cittadella di Torino, e dalle autorità militari accompagnati e sorvegliati sui luoghi di lavoro. La loro lingua, per la sua rassomiglianza coi nostri dialetti, era abbastanza intesa dalla folla, e attorno ad essi si riuniva molta gente; purché quei capannelli non impedissero ai prigionieri di lavorare, la disciplina non era tanto rigorosa da proibir loro di scambiar qualche parola con i curiosi. Ma più che le parole, premeva ai prigionieri di barattare con pochi soldi le eccellenti sigarette, da essi fatte coi tabacchi provenienti dalla Spagna, delle quali v’erano molti amatori. A noi bambini non era permesso di comprarne, ma ci divertivamo molto a guardare quei piccoli traffici.”[7]
In seguito continuarono operai piemontesi: una rara veduta dell’inverno 1811, di autore ignoto, mostra un gruppo di operai all’opera sulle impalcature ammantate di neve.
Per il periodo napoleonico questo ponte fu quanto di più qualificante sia dal lato tecnico che da quello estetico, perché l’ingegneria della sua costruzione metteva in opera tutte le conoscenze tecniche maturate in materia presso l’École des Ponts et Chaussées, che stava dando alla Francia tutta una serie di ponti monumentali, fra i quali s’allineava ora quello di Torino, che con esso veniva dotata della prima opera veramente moderna.
La tipologia architettonica del manufatto è quella che si era venuta affermando nell’ultimo quarto del Settecento, quando, per merito di Jean Rodolphe Perronet e dell’École des Ponts et Chaussées, l’arte della costruzione dei ponti aveva subito un profondo rinnovamento.
La realizzazione di quest’opera non fu soltanto un’importante applicazione del metodo Perronet, allora all’avanguardia nella costruzione dei ponti, ma un’occasione di approfondimento dei problemi già studiati dallo stesso Perronet nei precedenti cinquant’anni.
Oltre ad arricchire Torino di un monumento che all’epoca era all’avanguardia, il Ponte di Pietra fu una grande occasione per mettere a confronto l’ingegneria piemontese con una cultura tecnica più progredita e stimolarne di conseguenza un rapido progresso.
Ecco come Guido Gandolfi nel romanzo “Torino 1811…i dubbi del commissario” tratta del ponte sul Po:
“Roba strana da collezionare, di solito tirano i quadri e i mobili…» disse pensoso il poliziotto fermandosi ad osservare la collina torinese con il Faubourg du Po che costeggiava il fiume. Sopra l’acqua grigia le cinque arcate di pietra del ponte in allestimento ricoperte dalle impalcature di legno luccicavano sotto i raggi del bel sole di giugno. Ogni volta che osservava quell’opera gigantesca, provava una sconfinata ammirazione per la Francia ed i suoi architetti. Ricordava la posa della prima pietra, avvenuta fra il giubilo popolare che aveva acceso la fantasia erudita dei membri emeriti dell’Accademia delle scienze. L’opera, grandiosa per quei tempi, era stata eseguita non soltanto con fini politici e di prestigio, ma anche con ostentata dimostrazione di efficienza e concretezza. Iniziata da centinaia di prigionieri spagnoli della campagna del 1808 fu continuata poi da operai piemontesi.”[8]
Ed ecco come gli fa eco Alessandro Sponzilli nel romanzo “Una questione d’onore. Fenestrelle 1810”:
“Giunto alla porta del Po, de Maistre si accorse della folla che osservava e commentava l’inizio dei lavori del ponte sul fiume: pochi giorni prima, infatti, il venti Novembre per esattezza, era stata posta la prima pietra, l’inizio di un’opera superba che si prefiggeva di unire le due rive del fiume in quella parte di Torino. Una cosa buona dell’amministrazione francese.”[1]
[1] Alessandro Sponzilli “Una questione d’onore. Fenestrelle 1810”, Torino, Ananke, 2004, p.28
I lavori si conclusero alla fine del 1813: il 13 ottobre di quell’anno infatti, il ponte, mancante soltanto delle opere accessorie, fu solennemente inaugurato dal Principe Borghese.
Il passaggio di Vittorio Emanuele I
Ma i Francesi che diedero a questo ponte grande importanza non lo videro compiuto: i lavori terminarono nel 1814 e per prima vi transitò, il 20 maggio, la carrozza che riportava a Torino Vittorio Emanuele I al quale il ponte fu dedicato: nel vortice della frenesia reazionaria al dominio francese, un tal Bellosio, elevato da impiegato delle imposte a intendente generale delle gabelle, osò proporre al re restaurato, per evitargli l’umiliazione di attraversare il ponte giacobino e rivoluzionario, di farlo transitare su di una passerella di legno, promettendogli nientemeno che l’abbattimento del ponte napoleonico, solo perché era opera dei Francesi, assicurando che “gettato giù il ponte giacobino se ne farà subito un altro cristiano”.[10]
Ma il monarca, colpito da così evidente mancanza di buon senso, rispose: “In fin dei conti il ponte è destinato a starci sotto i piedi, e se esso è giacobino, tanto meglio: lo calpesteremo più volentieri.”[11]
A questo ponte, che finì per costare 2658107 lire, furono attribuiti nel tempo svariati nomi. I Torinesi lo chiamarono inizialmente Nuovo ponte della porta di Po, il 20 maggio il nome ufficiale divenne Ponte del ritorno del re, in seguito la denominazione definitiva fu Ponte Vittorio Emanuele I. Ma, nonostante l’intitolazione al re, la sua denominazione, nella tradizione popolare torinese, rimase per lungo tempo quella di ponte di pietra (ël pont ëd pera).
Originariamente era dotato di eleganti parapetti in pietra di Cumiana, che furono sostituiti dalle modeste balaustre attuali in ghisa nel 1876, quando fu posta la linea tramviaria, per accrescere lo spazio di passaggio.
Le rappresentazioni del ponte nelle arti
Fino alle numerose raffigurazioni dell’opera, finita o quasi, derivate dall’acquarello del Bagetti rappresentante il ritorno a Torino di Vittorio Emanuele I (1814)[12] e dall’incisione dell’Artaria del 1816 nelle sue varie versioni, il cantiere del ponte era noto solo per una sua veduta invernale, databile tra il 1811 ed il 1812.
Il quadretto, appartenente ad una collezione privata, fu esposto alla Mostra “Immagini di Torino nei secoli”, tenutasi a Palazzo Reale nel 1969; ed è presente nel Catalogo a cura di Ada Peyrot e Vittorio Viale.[13] Vi si rileva, in un paesaggio innevato ed innanzi allo sfondo del ponte provvisorio in legno, lo stato di avanzamento dei lavori del ponte che il confronto con i documenti parigini induce a datare all’inverno 1811-12: le pile sono tutte costruite, ed un battipalo nella quarta campata verso la collina pone le fondamenta del ponte di servizio; alle prime due arcate verso la città, sono predisposte le centine poligonali a sbalzo tipo Perronet, ed i conci della prima arcata sono già posati fino alle reni della volta.
Si noti inoltre come, mentre l’incisione di Artaria del 1816 rappresenta fedelmente i murs de quai incompleti, l’acquarello di Bagetti anticipi di fantasia anche la realizzazione della rampa nord-ovest.
Vi è poi l’anonimo “Posa della prima pietra del ponte sul Po, 22 novembre 1810”, découpé in carta 211 x 301 mm, conservato nella collezione Simeom (SI.D2057), all’Archivio Storico della Città di Torino.
L’acquarello di Bagetti rappresenta il momento del rientro di Vittorio Emanuele I in Torino il 20 maggio 1814, avvenimento che fu commentato in un passo di Massimo d’Azeglio, che ironicamente ricorda l’arrivo del re col suo stato maggiore “vestiti all’uso antico, con la cipria, il codino e certi cappelli alla Federico II tutt’insieme erano figure abbastanza buffe”. Bagetti avverte l’importanza dell’avvenimento e lo ripropone in un clima altamente celebrativo, però non retorico, attraverso l’ampia grandiosità della veduta e l’aulicità del punto di vista prescelto. Nel 1816 l’editore Artaria di Vienna pubblicò una veduta di Torino analoga all’ingresso di Vittorio Emanuele I per taglio topografico, con punto di vista leggermente variato, nota nelle due diverse prove della Biblioteca Reale di Torino e del castello di Racconigi. È molto probabile che sia stato lo stesso Bagetti a fornire all’editore viennese il disegno, anche se il suo nome non compare nell’incisione ma soltanto la consueta formula “disegnato dal vero nel 1816”.
[1] “Torino Napoleonica”, Supplemento al Caval d’Brôns, 1965, p.100
[2] Dina Rebaudengo “Torino Sconosciuta”, Torino, Edizioni dell’albero, 1964; Dina Rebaudengo “Un saluto da Torino”, Torino, Della Valle editore, 1971, p.98
[3] Alberto Viriglio “Torino napoleonica: gaudii e allegrezze ufficiali”, Torino, Lattes, 1905, p.84; Dina Rebaudengo “Torino Sconosciuta”, Torino, Edizioni dell’albero, 1964, pp.57-58
[4] Dina Rebaudengo “Torino Sconosciuta”, Torino, Edizioni dell’albero, 1964, p.59; “Torino Napoleonica”, Supplemento al Caval d’Brôns, 1965, p.100
[5] Piera Rossotti Pogliano “Il diario intimo di Filippina de Sales marchesa di Cavour”, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2000, pp.134-135
[6] Questi prigionieri erano molti dei frati della città di Gerona, che per la difesa della città s’erano organizzati in un corpo di milizia detto dei crociati, con due vescovi, ch’erano stati i loro capi
[7] “Autobiografia di un veterano. Ricordi storici e aneddoti del generale Enrico Della Rocca 1807-1859”, Bologna, Zanichelli, 1897, p.11-12
[8] Guido Gandolfi “Torino 1811…..i dubbi del commissario”, Brescia, Eupremio Montenegro Editore, 1995, p.36
[9] Alessandro Sponzilli “Una questione d’onore. Fenestrelle 1810”, Torino, Ananke, 2004, p.28
[10] Dina Rebaudengo “Torino Sconosciuta”, Torino, Edizioni dell’albero, 1964, p.60; Gervasio Riccardo “Storia aneddotica descrittiva di Torino”, Torino, Piemonte in bancarella, 1974, p.143
[11] Alberto Viriglio “Vecchia Torino”, Torino, Lattes, 1905, p.42; Dina Rebaudengo “Torino Sconosciuta”, Torino, Edizioni dell’albero, 1964, p.60; “Torino Napoleonica”, Supplemento al Caval d’Brôns, 1965, p.96; Ferdinand Boyer “Le mond des artes en Italie et la France de la Revolution et de l’Empire: etudes et recherches”, Torino, SEI, 1969, p.262; Gervasio Riccardo “Storia aneddotica descrittiva di Torino”, Torino, Piemonte in bancarella, 1974, p.143; Enrico Periolo “Torino monumentale, vista dall’obiettivo e dal pittore Edmondo Maneglia”, Torino, Piemonte in Bancarella, 1976, p.108; “E Napoleone disse: «Qui voglio un ponte trionfale»” in Torino e dintorni, 1990, p.23; Itinerari Slow “Torino storia e sapori di una capitale”, Bra, Slow food editore, 1998, pp.93-94; Angia Sassi Perino “Torino. Narrate, ponti, la vostra storia”, Torino, Edizioni del Capricorno, 2002, p.15
[12] Conservata a Palazzo Reale
[13] Torino, Tipografia Torinese editrice, 1969, n.295