
Rigide regole di sfruttamento collettivo basate sulla successione ereditaria e sull’estrazione a sorte lo hanno protetto dal Medio Evo in poi. Il Bosco delle Sorti della Partecipanza, a Trino (Vercelli), è il più antico e il più esteso (600 ettari) frammento delle foreste di pianura che un tempo ombreggiavano il corso del Po.
In confronto a lui, l’arcinoto Bosco della Mesola, nel Ferrarese, è un ragazzino: ha cominciato infatti a formarsi nel XII secolo, mentre ai tempi della Roma antica il Bosco della Partecipanza esisteva già ed era sacro ad una divinità, forse Apollo. La creazione della Partecipanza per lo sfruttamento collettivo risale invece al XIII secolo.
Il Po è a poco più di un tiro di schioppo dal Bosco della Partecipanza: li separano un mosaico di risaie. Le risaie sono anche tutt’attorno. La fame di sempre nuove terre arabili di proprietà individuale che ha cominciato a manifestarsi nel Medio Evo – e in seguito, poi, non parliamone – si è arrestata ai confini del Bosco della Partecipanza perché un gruppo di capifamiglia l’ha trasformato in un bene comune. Il marchese del Monferrato ha successivamente riconosciuto la loro piena proprietà nel 1275.
Il bosco era vitale, allora: una miniera di risorse. Il legname costituiva un insostituibile materiale da costruzione ed era importantissimo per scaldarsi e cucinare; ghiande e foglie nutrivano, rispettivamente, maiali e bestiame; la corteccia serviva per fabbricare piccole imbarcazioni e tegole. E poi il pascolo per gli animali, i frutti e funghi, i sarmenti utili per intrecciare canestri e fare fascine…
Motivi di questo genere spinsero, in quei tempi lontani, alcuni capifamiglia di Trino a trasformare il bosco in una proprietà comune e a stabilire regole utili a far sì che nessuno dei comproprietari potesse depauperarlo. In fondo, scelsero quello che noi oggi chiamiamo “sfruttamento sostenibile”.
Così, dal XIII secolo ad oggi, ogni anno una limitata parte del bosco viene scelta, a rotazione, per il taglio parziale e suddivisa in piccoli lotti. L’estrazione a sorte assegna un lotto, talvolta due, agli eredi tuttora residenti a Trino di quegli antichi capifamiglia. Così riassunte, le regole sembrano semplici. In realtà lo statuto della Partecipanza è piuttosto articolato e la sua applicazione ha mille dettagli.
In tutti questi secoli, di cambiamenti ne sono stati introdotti solo due. Nel 1991 il Bosco della Partecipanza è entrato nella rete dei parchi regionali piemontesi; nel 2014 il diritto di successione è stato riconosciuto anche alle donne.
Grazie a tutto questo, il Bosco della Partecipanza è una macchina del tempo. Consente di camminare in uno dei boschi di pianura che crescevano lungo il Po e di capire perché, come testimoniano le fiabe, a quel tempo ci si perdeva nei boschi. E’ un’arca di Noè sulla quale sono saliti pioppi e querce, ma anche carpini, ontani, mughetti, asfodeli, iris selvatiche… Ci sono scoiattoli, caprioli, cinghiali. E i lupi, ormai, non sono lontani.
(foto in copertina tratta da http://www.cronoescursioni.it/)