
Di Andrea Dal Cero
“Oggi chiunque debba andare da Parma a Casalmaggiore o viceversa, impiega almeno mezzora in più ed è costretto a percorrere il ponte che collega Boretto a Viadana oppure passare dal ponte Verdi a Ragazzola di Roccabianca, rischiando ritardi ancora maggiori a causa del senso unico alternato per lavori. La situazione per chi viaggia quotidianamente su queste strade è davvero insostenibile.”
Lo dicono gli amministratori locali, le associazioni di categoria, gli imprenditori del territorio e i consumatori. Ma soprattutto lo urlano i cittadini delle due sponde del Po, divisi oggi tra nord e sud come nei giorni della fine del secondo conflitto mondiale, quando i ponti erano meno numerosi e perlopiù bombardati a morte dall’aviazione angloamericana.
Per cercare di risolvere il problema, destinato a perdurare nel tempo, si pensa anche di ricorrere al Genio Pontieri dell’esercito. Ma l’esercito non potrà realizzare l’opera a causa di ragioni logistiche: troppo grande la distanza tra le due sponde del grande fiume e, soprattutto, per la mancanza dei mezzi definiti “importanti” per la realizzazione di un ponte di barche.
E’ “come se i ponti sul Po in Emilia occidentale avessero subito un cataclisma, come un’inondazione o un terremoto” ci si lamenta adesso senza considerare l’incuria delle amministrazioni competenti che, quella sì, ha comportato l’ammaloramento di queste fondamentali e importantissime infrastrutture.
Giacomo Talignani scriveva la scorsa settimana su Repubblica: “Gli altri ponti, vecchi di 50 anni, soffrono tutti. Ci sono i cantieri sul viadotto della A21 nel cremonese. Il Ponte Verdi, a corsia alternata fra Ragazzola e San Daniele Po, vede code infinite nelle ore di punta e sull’unica alternativa senza lavori, Viadana-Boretto, si riversano migliaia di mezzi. I sindaci, precisando di «non avere soldi per intervenire», hanno definito la situazione «molto seria» e dopo una riunione d’urgenza delle Province hanno chiesto l’intervento del ministro Graziano Delrio e fondi governativi «immediati ». Come tampone all’emergenza, c’è chi propone perfino battelli mobili per le merci. Sono talmente esasperati, gli esercenti dell’Asolana, che nei bar a ridosso del grande ponte ormai gli affari si misurano in brioches. «Quando funzionava a quest’ora del mattino ne vendevo almeno 100. Sa quante ne hanno mangiate oggi? Otto», si lamenta Luigi Dabellani del ristorante Il Lido, sul versante parmense. «Abbiamo perso il 90% dei clienti. Ieri ho tenuto aperto il ristorante da solo. I miei dipendenti vengono in treno e non sanno se faranno in tempo a tornare». Poco più in là, al ristorante Bello Carico, la titolare dice: «Dal 2000 il ponte l’hanno già chiuso tre volte. Ora non sanno nemmeno dirci quando riaprirà».
“Oh certo, abbiamo le autostrade, il calcestruzzo, le grandi gallerie transalpine e transappenniniche, le ardite campate dei viadotti – ha scritto lo stesso giorno Paolo Rumiz – ma i ponti sfuggono allo sguardo di una nazione che ha perso dimestichezza con l’acqua al punto da diventare idrofoba. Quando andai a monitorare la scomparsa dei torrenti nel Mugello a causa del traforo ferroviario Bologna- Firenze, constatai che in alcuni Comuni i pubblici amministratori non s’erano nemmeno accorti che, sotto i loro ponti, i letti dei corsi d’acqua erano all’asciutto. Ora, attorno a Piacenza, Emilia e Lombardia, nuovamente separate del fiume, si ritrovano a scoprire la corretta etimologia della parola “rivale”, cioè “colui che, stando sull’altra riva del fiume, può essermi in qualche modo ostile se non nemico”. I ponti non sono soltanto realizzazioni ingegneristiche ma simboli di unità di un territorio altrimenti governato da antagonismi di campanile. I ponti hanno un’anima e chi li costruisce compie un sortilegio, da cui la parola “pontefice”.
E proprio su queste strade, tra Lombardia ed Emilia, si sta riscoprendo oggi quanto il Grande Fiume possa unire le due regioni, ma anche dividerle.