Home Acqua e Territorio Gli ultimi guardiani delle valli selvagge ( pt. 2)

Gli ultimi guardiani delle valli selvagge ( pt. 2)

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Per la prima parte pubblicata il 9 giugno 2020 vai a https://ilgiornaledelpo.it/lunico-volontario-in-pianta-stabile/

Le valli di Campotto si trovano nel Parco Regionale del Delta del Po, a sud della città di Argenta. Se si osservano dall’alto formano un triangolo verde di acque e terre emerse, ricoperto di alberi e canneti, circondato dal fiume Reno e dal torrente Idice.
Le valli iniziarono a formarsi intorno al XII secolo, epoca in cui il Po di Primaro, ormai ostruito dai sedimenti, cessò la sua funzione di collegamento fluviale principale tra Ferrara ed il mare e, con essa, anche l’importante funzione di scolo delle acque. Attualmente parte del suo antico alveo è occupato dal tratto finale del fiume Reno.

Oder Magri, guardiano di questa spettacolare oasi naturale, conferma che “le Valli sono completamente antropiche, costruite e gestite dall’uomo come casse di espansione, utilizzate per ricevere le acque della bassa pianura bolognese e scaricarle lentamente, tramite chiaviche e pompe idrovore, nel Reno”. Dalle sue parole si comprende come egli conosca quelle valli, che ha vissuto intensamente fin dalla gioventù, insieme alle comitive di amici e che oggi conosce nei minimi dettagli.

Per questo motivo, dopo aver esercitato la professione di radiologo, oggi, a 62 anni, gestisce e controlla l’Oasi Vallesanta, nella parte meridionale delle Valli di Campotto, insieme alla sua associazione, l’ASD Vallesanta.
“Quando hanno aperto la valle avevo 6 anni”, dice, “ci sono venuto a pescare con mio padre le prime volte, perciò ho dei ricordi bellissimi legati a questi luoghi. Adesso sembrerà una bella oasi naturale, ma bisognava vederla allora, in cui c’era un habitat completamente diverso da oggi”.

Il guardiano ha visto le valli mutare nel tempo, “rispetto al passato è cambiato tutto: le competenze, le risorse, la movimentazione delle acque”, dice, “ma anche proprio le persone sono cambiate, la loro conoscenza dei luoghi e la loro presenza in valle, che manca”.
Oder rammenta i tempi in cui vi era una vera e propria economia basata sulle risorse naturali che le valli offrivano. Dalle canne palustri tagliate si ottenevano sedie intrecciate, o altri utensili, dai boschi igrofili la legna per costruire e scaldarsi, le tavole poi si imbandivano con ciò che si era riusciti a pescare e cacciare.

“E pensare che le due valli nei tempi del dopoguerra offrivano più di mille quintali di pesce all’anno, dai dati ufficiali”, poi il guardiano ironizza, “più chissà quanti da quelli non ufficiali e quanto ne veniva pescato illegalmente da queste acque che, una volta, ospitavano tonnellate di anguille e lucci italici”.
Mentre descrive queste scene uno stormo di oche granaiole sorvola lo specchio d’acqua di Vallesanta per venirvi a riposare, dopo essere state nei campi tutto il giorno in cerca di cibo.

Una volta questa specie non era stanziale e al loro posto, si potevano ammirare migliaia di folaghe, anatre e svassi.
“Oggi molti uccelli palustri non abitano più quest’oasi. Il loro cibo, costituito da piante acquatiche e prato umido, è consumato dall’eccesso di pesce presente. Venuto a mancare quell’habitat, è venuta meno anche il riparo per la nursery, il pesce di minutaglia, è peggiorata pure la qualità dell’acqua, perchè c’è meno fitodepurazione. Ultimamente anche il canneto si sta riducendo notevolmente, a causa dell’opera di nutrie, gamberi killer e qualche pesce erbivoro”. Oder conferma come quest’oasi creata dall’uomo, come quella delle Valli di Campotto, inserita in un territorio allo stesso modo fortemente antropizzato, necessiti di interventi periodici e accurati, per equilibrare quell’habitat che, naturalmente, non riuscirebbe ad autoregolarsi.

Tre sono i fattori principali che secondo lui hanno contribuito a cambiare il volto delle valli di Argenta: il fatto che le persone non interagiscano più con il territorio, il cambio nel sistema di gestione e, infine, la presenza di specie alloctone.
Nonostante l’aspetto del suo territorio sia cambiato, Oder da anni non smette di prendersene cura. In nome dell’ambiente si è opposto ed ha denunciato il bracconaggio ittico, che ha colpito più volte anche l’oasi protetta di Vallesanta, rivendicando maggiori tutele per quegli habitat che difende coi fatti, senza giri di parole.
Alla domanda finale del perchè continui a difendere un ambiente che muta, così diverso da quello che porta nei suoi ricordi, lui risponde semplicemente.

“Per un amore infinito”.