
Quella che segue è la testimonianza di Michele Valeriani del Movimento Gruppo Siluro Italia, organizzazione che ha giocato un ruolo di punta nella documentazione del fenomeno del bracconaggio organizzato del siluro a fini commerciali nel bacino del fiume Po, descrivendo prima la nascita e poi lo sviluppo di una realtà nuova. Ecco in queste righe di denuncia, che esprimono la posizione del Movimento GSI, il racconto dell’evoluzione di un fenomeno.
Era il 2003 quando per la prima volta un pescatore partì con la sua barca dalla sponda opposta per venire a chiedermi se gli regalavo il siluro che avevo appena pescato. Un personaggio ambiguo, non italiano, che insistette per un paio di minuti e poi di fronte al mio rifiuto, scocciato virò e tornò sulla sua sponda, dove vedevo una sorta di campeggio improvvisato con roulotte e tende.
Un anziano che era vicino a noi vide tutta la scena e si avvicinò per raccontarmi che quello era un ungherese che era qui in Italia in vacanza e che pescava i siluri per mangiarli. L’anziano continuò raccontandomi le gesta strepitose di questo pescatore insieme agli altri ungheresi che vivevano in quel campo. Disse: “Ne prendono quintali al giorno. Sai, restano qua da marzo a novembre, a volte ci offrono gli storioni in cambio dei siluri che prendiamo con la bilancia”.
Ascolto e faccio tesoro di quanto mi viene detto e mi domando: “in vacanza nove mesi all’anno?”
Sette giorni dopo munito di telecamera attraverso il ponte e vado a vedere cosa accade in quel campeggio. Scopro così l’esistenza di un gruppo di pescatori ungheresi che hanno allestito un macello sul fiume, in ogni centimetro di sponda trovo interiora di pesce, teste di pesci e proprio in quel momento riesco a riprendere lo sventramento di un grosso siluro che poi verrà lavato con l’acqua del fiume e imbustato per essere venduto.
Da quel giorno sono passati ben 10 anni.
Dieci anni di battaglie di sensibilizzazione e denunce sui media e agli organi preposti al controllo sia della pesca che della commercializzazione di prodotti alimentari. I pescatori decidono anche di scendere in piazza due volte per manifestare il loro scontento.
E’ bene ricordare che i reati commessi da chi fa bracconaggio non sono solo in ambito della pesca (utilizzo di strumenti non consentiti) ma anche nel campo della commercializzazione, in quanto sono prodotti che non subiscono nessun controllo igienico sanitario e finiscono in prevalenza nei mercati dell’Est.
Sono anni nei quali vengono compiuti sequestri e anche arresti, come quando nel 2006 viene arrestato il “boss” della banda di bracconieri. Sì, perché non eravamo di fronte a quattro sprovveduti, ma ad una vera organizzazione di un centinaio di individui che si spartivano il fiume Po e i suoi affluenti dalla foce fino a Piacenza, con una concentrazione di questi campeggi nel tratto di Rovigo.
In verità il fulcro di tali attività è Papozze dove apprendiamo che il “boss” risiede con tanto di casa e camion pronto a prelevare il pescato e trasportarlo via. In qualche negozio troviamo le foto delle sue qualità come pescatore dove viene immortalato con diversi siluri appesi agli alberi. Per gli anziani, ma anche per qualche politico è una sorta di liberatore delle acque dal flagello del “pesce siluro”, poco importa che quei pesci finiranno nei piatti di persone e bambini, nessuno se lo chiede, l’importante è che ne peschi sempre di più.
La svolta arriva quando probabilmente dopo diversi sequestri da parte della Polizia Provinciale, dove in alcuni casi vengono anche trovati degli elettrostorditori, il “boss” decide di mettersi in regola e scopre quanto sia facile richiedere una licenza di pesca professionale.
Dove? Facile: negli uffici della Provincia di Rovigo.
Con un piccolo versamento di 60 euro si è regolarizzato rientrando nei requisiti richiesti da una legge scritta nel 1931: ora potrà fare le stesse cose di prima ma potendo mostrare in caso di controlli che quella rete lì ci può stare.
Nel giro di poco la voce gira, lo apprendono i pescatori sportivi, ma anche altri bracconieri e così nel giro di qualche anno le licenze richieste da stranieri (ma anche da qualche italiano che vuole entrare nel business ) diventano 15 tra le quali anche un cinese “pizzicato” una notte durante un controllo mentre caricava quintali di breme e carpe sul suo furgone.
Sì, perché la storiella del “peschiamo solo i siluri” è da molto tempo che non regge più, e poi se uno ha la licenza di pesca di mestiere non deve più nascondere nulla, può pescare quello che vuole.
Arriviamo ai giorni nostri, dove il business si allarga, gli stranieri in Italia sono aumentati, come sono aumentati quelli disoccupati, in particolar modo quelli di origine romena che rappresentano uno delle comunità più numerose e per di più amanti del pesce d’acqua dolce soprattutto se esso è steso in un piatto.
Anche per loro nessun ostacolo al rilascio della licenza di pesca di mestiere, e non è più solo il grande fiume Po che interessa, in provincia di Ferrara ci sono quasi 4 mila chilometri di canali che aspettano di essere messi a ferro e fuoco.
Ricordiamo che la pesca di professione andrebbe esercitata solo dentro certe zone preposte ad essa, ma a quanto riportano gli articoli di cronaca queste zone non vengono rispettate, infatti sono centinaia gli articoli dove vengono segnalati sequestri di reti e altre nefandezze calate in zone non preposte alla pesca professionale, addirittura anche dentro oasi o zone di ripopolamento e frega.
Una pressione di pesca insostenibile per l’areale padano, soprattutto nei piccoli e medi corsi che hanno profondità a volte mai oltre il metro e mezzo e dove con una rete è possibile recuperare tutto il pesce che c’è dentro.
A novembre al mercato ittico di Loreo (Ro) i vecchi mestieranti italiani che avevano sui banchi circa 60-70 kg di pesce cadauno si sono visti arrivare quelli romeni con 400 chili di pescato con il risultato di vedere il prezzo della carpa scendere da 1,30 al chilo a 30 centesimi.
La gran parte del pescato finisce in Romania, Ungheria e Grecia, il resto nei vari mercati ittici italiani con grande richiesta da quello di Roma.
Inutile dire che tutto ciò non ha lasciato inermi alcuni pescatori sportivi che hanno visto con i loro occhi i danni arrecati alla fauna ittica e hanno bussato a quegli uffici dove vengono “prese queste decisioni” per avere delucidazioni.
Questa è la risposta ricevuta via mail dopo un incontro con una persona che siede in quegli uffici e di cui per vari motivi che potete ben capire non possiamo fare il nome:
“relativamente all’incontro avuto con i pescatori stranieri ed ai suoi timori, desidero rassicurarLa, ritengo infatti che sia indispensabile la collaborazione di quei pescatori che esercitano con regolare permesso per poter arginare il fenomeno e la sempre ben nutrita presenza di quelli di frodo, perchè convinta che il “passa parola” sia più efficace se a trasmetterlo siano anche dei connazionali.”
Se la risposta ad anni di segnalazioni, manifestazioni, esposti e denunce mediatiche per il degrado in cui versa il nostro patrimonio ittico deve essere la regolarizzazione dei principali responsabili attraverso il rilascio di regolare licenza, io doco che è come mettere la volpe a guardia delle galline. Ai sani contribuenti pescatori sportivi non può restare che prendere atto del progressivo ed inesorabile svuotamento delle nostre acque della propria componente fauna ittica e dire addio ad un areale padano regolamentato da una gestione non più obsoleta, ma moderna e in grado di rispondere alle migliori aspettative delle nostre nuove generazioni, sociali e territoriali.
Il bracconiere non esiste più, ora ha la licenza di pesca professionale e deve essere chiamato pescatore di mestiere regolarmente registrato e integrato.
Questo intervento di Michele Valeriani è stato raccolto e curato da Franceso Nigro, zoologo e membro del comitato scientifico dei GAF. Il Giornale del Po non ha necessaria conoscenza storica del fenomeno del bracconaggio e della pesca al siluro in Po per avallare ogni affermazione del signor Valeriani. Questo spazio rimane comunque sempre a disposizione di chi, persona fisica o ente, abbia qualcosa da rettificare o aggiungere a favore di una sempre migliore comprensione dei fatti da parte del lettore.