
Il cormorano (Phalacrocorax carbo) è un volatile ittiofago, piuttosto vorace, che usa riunirsi in colonie numerose e che ha attirato su di sé l’attenzione, per non dire le ire di molti pescatori, sportivi e non. Pesa mediamente 2,5 chili, e si ciba quotidianamente di una quantità di pesce pari al 10-15% del suo peso, circa 400 grammi. E’ un pescatore formidabile, sia aereo che idrodinamico, in grado di nuotare sott’acqua per oltre un minuto e mezzo, raggiungendo anche oltre 10 metri di profondità. Pur preferendo le acque limpide, è adattato anche alle aree costiere e vallive.
Secondo il WWF, in Emilia-Romagna le nidificazioni maggiori sono state censite a partire dagli anni ’90, concentrate tra la provincia di Ferrara e Ravenna, ove, oltre al sito “storico” delle Valli di Argenta, hanno poi popolato Valle Bertuzzi, Punte Alberete e Valle Mandriole, con tentativi di nidificazione successivi anche alle Vallette di Ostellato.
L’incremento della popolazione è notevole e, se nel 1994 in regione si contavano appena 338 coppie, nel 2004 erano 1.042.
E’ un animale gregario, abituato a creare stormi da centinaia o migliaia di individui, capaci di cacciare insieme coordinati negli specchi d’acqua con maggior concentrazione di pesce, esibendosi in voli in formazione e cacciate subacquee. Gli stormi adottano vere e proprie strategie di alimentazione nelle acque più torbide, un adattamento per imbrancare gruppi di pesci e catturarli più facilmente, costringendoli contro le opere di bonifica, o nei canali con acqua più bassa. Con queste vistose “cacciate”, una colonia è in grado di soddisfare il proprio fabbisogno giornaliero in un’unica battuta, minimizzando lo sforzo.
Date le sue caratteristiche, il cormorano ben si presta ad essere additato come co-responsabile della diminuzione di fauna ittica nelle acque italiane. Ancor più per il fatto che, questi numerosi stormi di uccelli, mirano proprio agli impianti di piscicoltura intensiva, o ai bacini di stoccaggio e di svernamento del pesce, tanto da inserire questa specie tra quelle “problematiche”, soventemente in conflitto con allevatori ittici, consorzi e amministrazioni pubbliche responsabili della conservazione e della gestione della fauna.
Per i medesimi motivi il cormorano è stato cacciato fin quasi all’estinzione nei secoli passati, nonostante la sua ampissima diffusione in tutto il continente europeo. Il suo ripopolamento, ironia della sorte, è avvenuto proprio grazie a misure di conservazione attuate per preservarne la specie, che è infatti protetta ai sensi della Legge 157/1992 e della Direttiva 2009/147/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
Stante le misure che ne vietano la caccia e il contenimento, salvo deroghe specifiche ed eccezionali, questa specie non conosce molti nemici naturali, eppure conserva un’indole diffidente, evitando di stazionare e cacciare in stormo nelle zone abitate, rumorose, o comunque frequentate da un certo numero di persone o pescatori.
E’ pur vero che anche l’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna, nel maggio 2019, dichiarò che “la presenza di cormorani rappresenta un concreto pericolo per l’equilibrio ambientale e la loro significativa diffusione ha determinato la riduzione di una quota sempre più rilevante degli stock ittici con effetti dannosi sulle produzioni e sulle attività di pesca professionale e sportiva”. Seppur senza evidenza scientifica, o censimento formale ed in concomitanza con il fenomeno del bracconaggio ittico di matrice Est europea, che da anni depauperava le acque interne con l’utilizzo della corrente elettrica.
Le norme poste a tutela della specie vincolano le Regione, che non può attuare interventi di contenimento dei cormorani, tramite uccisione, pur per evitare effetti dannosi sulle produzioni e sulle attività di pesca professionale e sportiva. Essa dovrebbe preventivamente ottenere l’autorizzazione dell’ISPRA, motivata da un’analisi puntuale dei presupposti, “con particolare riferimento alla valutazione sull’assenza di alternative soddisfacenti per limitare i danni, alle specie che ne formano oggetto, ai mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, alle condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, al numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo di deroga, ai controlli ed alle particolari forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto”.
La concessione della deroga appare perciò un iter particolarmente complesso, che implica un intenso lavoro preliminare che, in altre realtà, è stato affidato a strutture scientifiche in grado di fornire informazioni attendibili sulle popolazioni di cormorani e sugli effettivi danni da esse arrecati alle specie ittiche di maggior pregio.
Senza rispondere all’amletico interrogativo che vede il cormorano come una specie da tutelare o da abbattere, alternativamente, in nome dell’interesse dell’ecosistema, o della pesca, o di entrambi; in questo precario stallo tra chi vuole garantire il suo ritorno faunistico, e chi lo vuole eliminare, resta questo splendido volatile dalla livrea nero brillante, adatto a tutti gli habitat e i climi, a confermare che, nonostante l’uomo, la natura è resiliente.