
La Ciclovia del Po è un percorso di guerra. Solo chi è esperto e conosce bene i luoghi è in grado di cavarsela tranquillamente, mentre i cicloturisti occasionali, che costituiscono la quasi totalità dei potenziali frequentatori, pedalano metaforicamente in ripida salita lungo un percorso che pure si sviluppa totalmente in pianura. Lo afferma in sostanza Claudio Pedroni, ex responsabile delle piste ciclabili per la FIAB, Federazione Italiana Amici della Bicicletta. Si è sentito toccato dalle difficoltà che Pietro Voltan ha incontrato nel suo viaggio lungo tutto il corso del Po, conclusosi nei giorni scorsi.
Voltan era a piedi ma ha cercato di seguire la Ciclovia del Po, nota anche come tratto italiano dell’itinerario internazionale Eurovelo 8. In teoria la Ciclovia del Po è nata ormai dieci anni fa ed è basata sulle strade situate sulla sommità degli argini maestri che si snodano ai due lati del fiume. Tuttavia Voltan, nel suo viaggio, ha constatato che in molti tratti la ciclabile non esiste. “Effettivamente, la Ciclovia del Po è figlia di nessuno”, riassume Pedroni, e descrive una realtà frammentata dal punto di vista sia delle competenze gestionali sia della facile percorribilità effettiva.
Eppure la Ciclovia ha addirittura un sito internet. Vi si legge “Tutta la Pianura Padana da Torino a Venezia in bici”. Senza contare le valanghe di parole sul turismo ambientale e sul turismo dolce lungo il Po, dei quali bici e ciclovia dovrebbero essere uno strumento fondamentale.
La frammentazione e la disomogeneità di cui Pedroni parla nasce da un fatto. “Le strade che corrono sugli argini maestri e che sarebbero ideali per pedalare costituiscono in realtà strade di servizio dell’AIPO, l’Agenzia Interregionale per il Po. Essa ne ha ceduto solo alcuni tratti ad altri enti. Questi tratti a volte sono diventati effettivamente piste ciclabili. Altre volte invece sono stati trasformati in strade, che possono essere con poco traffico o al contrario molto trafficate e sconsigliabili per pedalare”.
E dove l’AIPO è rimasta il padrone di casa? Risponde Pedroni: “In questo caso esistono tratti in cui le strade d’argine in teoria non sarebbero neanche percorribili. In Lombardia, ad esempio, tradizionalmente possono passare cacciatori e pescatori: ma da loro soltanto. Laddove esiste, il divieto di transito sui tratti AIPO delle strade d’argine viene più o meno ignorato e il passaggio dei ciclisti viene più o meno tollerato. Tuttavia possono mancare ad esempio i ponti per superare gli affluenti che si immettono in Po, o si possono incontrare vari ostacoli. In questi casi bisogna scendere dall’argine e cercare soluzioni alternative”.
Le soluzioni alternative sono praticamente d’obbligo anche quando la strada d’argine, dismessa dall’AIPO, è diventata molto trafficata. Dice ancora Pedroni: “Soltanto in alcune zone esistono nelle golene del Po percorsi ciclabili alternativi alla strada d’argine. E’ il caso del tratto fra il Reggiano e il Parmigiano”.
Dal punto di vista burocratico, è perfettamente comprensibile che l’AIPO non trasformi in piste ciclabili le strade d’argine che sono sotto le sue competenze. Dovrebbe infatti farsi carico della loro sicurezza, con tutti gli interventi e gli oneri che questo comporta, mentre i suoi compiti istituzionali e i suoi finanziamenti sono relativi soltanto a sicurezza della navigazione fluviale e sicurezza idraulica. In sostanza, l’AIPO andrebbe a cercarsi delle rogne non obbligatorie e non retribuite.
Affidare a Comuni e Regioni tutte le strade d’argine AIPO per trasformarle in effettive piste ciclabili? La cosa non sarebbe facile e indolore. Nel 2011 – ormai 12 anni fa – un’operazione di questo genere effettuata in provincia di Lodi è costata 1,4 milioni per 100 chilometri di argini. Più gli oneri delle manutenzioni successive. Più i vincoli di bilancio e di spesa che, dall’Unione Europea, grandinano su Roma e su Regioni e Comuni.
Di conseguenza, la Ciclovia del Po, pur esistendo sulla carta, non ha nemmeno un gestore unico che si occupi di installarvi dei cartelli: è figlia di nessuno, come dice Pedroni. Una situazione paradossale, soprattutto se confrontata con i proclami relativi a “Da Torino a Venezia in bici”.
L’alternativa alla Ciclovia del Po esiste anch’essa perlopiù soltanto sulla carta. E’ la ciclovia VenTo, parallela al Po da Venezia a Torino e costituita da autentiche piste ciclabili: il progetto prevede la realizzazione dei tratti necessari per completare e raccordare quelle già esistenti. Tuttavia VenTo è ben lungi dall’essere completa. Non ci sono nemmeno tutti i soldi e le porzioni ultimate sono ben poche.
Dunque tanto vale pedalare sulla Ciclovia del Po. Ma bisogna conoscere bene il territorio per sapere quando è necessario scendere dalla strada d’argine per evitare ostacoli o traffico intenso, quando risalirvi e quale percorso alternativo seguire nel frattempo. Le guide che consentono di pianificare il percorso a tavolino, pubblicate in due volumi (primo e secondo) dall’editore Ediciclo, sono ormai vecchiotte: Claudio Pedroni è uno degli autori. C’è anche una guida fresca fresca di stampa, però solo in tedesco: la “Po-Radweg” dell’editore austriaco Esterbauer. Ma se un cicloturista inesperto decide di partire all’insegna del fai-da-te, si trova a pedalare metaforicamente su ripide salite mentre percorre uno degli itinerari più pianeggianti d’Italia.