
Dall’implorare la pioggia al pregare che smetta. Le alluvioni verificatesi in Romagna in questo mese di maggio hanno riportato a galla tutta la mitologia secondo la quale per scongiurarle o attenuarle basterebbe pulire i fiumi. I 18 mesi di siccità e di agonia del Po sono terminati nel peggiore dei modi: vittime, sfollati, distruzioni. Le alluvioni si sono abbattute più o meno sulle medesime zone, due volte in due settimane: piogge così copiose che ciascun episodio, in teoria, sarebbe un evento di portata secolare.
Ma l’eccezionalità delle precipitazioni non è l’unica causa dei danni e dei lutti. Non c’entra nulla la mancata pulizia dei fiumi, che è inutile e anzi dannosa. C’entrano invece molto sia la scarsa manutenzione del territorio sia i meccanismi perversi che concedono solo col contagocce i soldi per effettuarla.
Le alluvioni in Romagna sono legate innanzitutto ai plurisecolari interventi idraulici. Vaste aree acquitrinose sono state bonificate e sono diventate coltivabili ed abitabili grazie alla deviazione di corsi d’acqua ed alla costruzione di un fitto reticolo di canali stretti e rettilinei. Spesso l’acqua viene fatta scorrere entro argini alti addirittura ad un livello superiore a quello dei campi e delle case. Lo dice, ma in termini ben più paludati, anche il report dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale.
I canali stretti, diritti ed orlati da alti argini sono simili a piste da bob entro le quali l’acqua scorre vorticosamente. Si tratta di una situazione che accentua i picchi di piena. Le piogge eccezionali in pianura invece fanno ben pochi danni quando finiscono in corsi d’acqua – artificiali o naturali – dall’ampio corso placido e dotati lungo i lati di golene o di bacini di laminazione che consentono di sfogare le piene. L’esatto contrario della situazione romagnola.
Inoltre, anche senza piogge eccezionali e a maggior ragione quando invece esse si verificano, le opere di regimazione delle acque funzionano solo a patto di ricevere continua, meticolosa manutenzione.
A volte i soldi per la manutenzione dei corsi d’acqua ci sono ma non vengono spesi: vedi la polemica sui 55 milioni dell’Emilia Romagna. Avere i soldi e non spenderli è grave. Più spesso però capita un fatto ancor più grave: non ci sono soldi per le manutenzioni di argini e canali (ma anche di strade, scuole eccetera) e trovarli è più complicato che finanziare una nuova opera pubblica.
Infatti le manutenzioni, dal punto di vista della burocrazia, ricadono nella cosiddetta spesa corrente. E’ quella per l’ordinario funzionamento di Comuni e Regioni. I soldi per la spesa corrente sono cronicamente scarsi: lo può testimoniare qualsiasi amministratore pubblico di qualsiasi appartenenza politica. In grandissima parte vengono assorbiti da pagamenti obbligati: ad esempio, stipendi del personale e riscaldamento degli uffici. Guai a chi si indebita perché deve, o vuole, aumentare la spesa corrente: il budget si riduce l’anno successivo. Così prescrivono i vincoli di bilancio che, dall’Unione Europea, discendono a cascata sullo Stato e sugli enti locali.
I Comuni, se vogliono effettuare manutenzioni, possono fare ricorso praticamente solo agli oneri di urbanizzazione. Sono le somme versate da coloro che costruiscono nuovi edifici. Per “contrastare i rischi idrogeologici”, come recita la definizione burocratica, alla fine dei conti bisogna attingere di lì. Però è un paradosso: la cementificazione favorisce le future alluvioni, perché il suolo non può più assorbire la pioggia.
Il desiderio, o la necessità, di incassare oneri di urbanizzazione probabilmente contribuisce a spiegare perché in Italia si continua a costruire come se non ci fosse un domani anche se la popolazione non aumenta più. L’Emilia Romagna è terza in Italia per consumo di suolo ma da dieci anni il numero dei residenti è stazionario o in diminuzione.
In questo quadro desolante, è il caso di usare i pochi soldi delle manutenzioni per pulire i fiumi? Sì, se si tratta di portar via tronchi, rifiuti e simili che, trascinati e accumulati dalla corrente, possono formare una sorta di pericoloso tappo. Negli altri casi la risposta è no: pulire i fiumi è anzi dannoso.
Quando si parla di ripulire un fiume, in realtà si intende l’intenzione di dragare il letto: portar via sabbia e ghiaia per fare più spazio all’acqua. Ma il risultato è ben diverso. Come scrive il geologo Aldo Piombino, abbassare il livello di un fiume significa fra l’altro accelerare e concentrare il deflusso delle piene. In altre parole: le alluvioni diventano ancor più violente.
Non a caso gli esperti e i tecnici non parlano di dragare o pulire i fiumi. Ne parlano invece politici di vario ordine e grado. Se invece si vuole ascoltare un geologo, ecco le considerazioni affidate a Facebook.