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Alluvione Bassa Modenese: quelli che hanno visto l’acqua invadere il loro lavoro

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Imprenditori alluvionati: chi è ripartito e chi no. “Ma ancora una volta con le maniche rimboccate”.  Sorretti dalla volontà di andare avanti. L’hanno raccontato a Confesercenti: “Ce la mettiamo tutta; non ci accontenteremo di elemosine vogliamo il rimborso dei danni”.  

di Gian Luigi Casalgrandi

È ormai impresso nella mente come un ricordo indelebile: l’acqua che entra ovunque, che “invade il lavoro”, che raggiunge in taluni casi i due metri d’altezza. Devastando una vita di sacrifici. Lo sconforto e la disperazione dei primi momenti lasciano spazio alla voglia di reagire, di salvare tutto il possibile. Poco importa se tocca immergersi fino alla vita e oltre, o aiutarsi con gommoni di fortuna. Quel che ha prevalso in quegli attimi è stato pensare come ripartire. Dopo il nuovo disastro, che ha messo in ginocchio parte del territorio modenese: l’alluvione del 19-20 gennaio scorso. Lo raccontano quattro imprenditori. Confesercenti ha raccolto le loro storie, brevi forse ma destinate a rimanere.

“Il 19 gennaio, aperti come tutte le domeniche mattina – racconta Giancarlo Generini che gestisce un’edicola tabaccheria-cartoleria in centro a Bomporto, mentre servivamo i clienti è giunta la notizia da Bastiglia, prima del cedimento dell’argine di Secchia, che l’acqua sarebbe arrivata anche da noi. Increduli perché, data la vicinanza, abbiamo sempre temuto il Panaro. Sono bastate poche ore per vedere andare in fumo anni di lavoro, con l’acqua fino a 2,05 metri d’altezza, nel magazzino e 1,35 in negozio, per 5 giorni. Abbiamo salvato poco, il resto è andato perduto: i danni ammontano a 70 mila euro, anche di più se consideriamo lo stop lavorativo dei tre dipendenti”.

Poco distante, c’è la lavanderia di Luca Zoboli, sempre nel cuore storico di Bomporto. “Siamo stati in grado di riaprire a tempo di record, appena una settimana dopo l’alluvione. Abbiamo lavorato quasi otto ore di fila per recuperare tutti i capi all’interno dei locali dove l’acqua ha superato il metro e venti. Abbiamo fatto lavare i capi dei clienti in altre lavanderie e quindi si è provveduto ad asciugare i muri, ma rimane quell’odore… Uno sforzo enorme insomma, ma siamo ripartiti. Oltre 30mila euro danni, una doppia beffa per noi, già costretti a fare i conti col terremoto che aveva reso inagibile un nostro capannone. Speriamo che le istituzioni capiscano e ascoltino le nostre esigenze d’imprese alluvionate…”.

Roberto Mandrioli

Roberto Mandrioli ha una rivendita di ortofrutta a Bastiglia, aperta da un anno. “Mai mi sarei aspettato una cosa del genere. Orribile, ma la mia indole d’incorreggibile ottimista mi ha permesso di non arrendermi, nemmeno di fronte all’alluvione. Ho appreso da mio figlio la mattina della rottura dell’argine e dell’acqua che avanzava. Non ho esitato un attimo a precipitarmi in negozio e cominciare a mettere in salvo tutto ciò che potevo. Una volta defluita l’acqua e sorretto dalla Protezione civile, sono riuscito a ripulire interamente il negozio. La frutta e la verdura messa in salvo l’ho distribuita gratuitamente a quanti si presentavano. Quindi ho ricontattato i fornitori e ho riaperto, con la soddisfazione di aver ritrovato i miei clienti e anche di nuovi. Non mi sono arreso e vado avanti”.

Gianluca Pelloni

Stessa storia per Gianluca Pelloni, ristoratore e albergatore di Sorbara, che ricorda come alle 18 di domenica 19  gennaio, l’acqua ha iniziato ad uscire dai tombini. “Abbiamo tentato ad arginarla con i sacchetti di sabbia, ma è stato tutto inutile; in poco tempo ha raggiunto i 40 cm all’interno del locale. Sono saltati gli impianti elettrici, i frigoriferi, le lavastoviglie: un disastro. Ho cenato solo la sera a lume di candela, con i piedi immersi nell’acqua, triste, arrabbiato e amareggiato. Acqua ovunque fino al 22 di gennaio, con un silenzio la sera e un buio desolanti. Non volevo lasciare la struttura, la mia struttura, non me la sentivo. Una volta che l’acqua è defluita, ha lasciato dietro di sé il fango e la voglia di chiudere tutto e non riaprire mai più. Perché continuare quando si hanno approssimativamente più di 50-60mila euro di danni?”.

Passata l’ultima ondata di piena col cuore in gola, ora gli imprenditori, nonostante la diminuzione della clientela già causata dalla crisi, provano ad andare avanti. L’unica speranza è quella di ottenere almeno il pieno risarcimento “non possiamo accontentarci di poche briciole o di elemosine, abbiamo il diritto a vederci riconosciuto tutto il danno subito. Abbiamo urgente bisogno di finanziamenti a tasso agevolato in attesa che arrivino i rimborsi, come pure di una tregua fiscale”.