
Si chiamavano “flash” ed erano scritti a macchina in poche righe. Arrivavano alle redazioni per mezzo delle telescriventi, figlie del telegrafo e mamme del telefax. Quello che vedete nella foto è il flash dell’ANSA che nella notte del 9 ottobre del 1963 mise in moto il lavoro di informazione dei giornali italiani.
Quello che successe quella sera ormai lontana nel tempo lo sappiamo tutti. Ma prima che tutto si confonda indelebilmente nel passare degli anni penso sia importante, soprattutto per i nostri lettori più giovani, fare oggi qualche considerazione a proposito di questa orribile vicenda.
Innanzitutto il nome con cui si ricorda il fatto: “Il disastro del Vajont”.
Il Vajont non è un territorio, non è una valle, non è un paese e neanche una diga. Il Vajont è un torrente che ha la sua sorgente in Friuli e che si immette nel Piave nei pressi del paese di Longarone, in provincia di Belluno. Ancora oggi scorre nel suo letto.
Longarone è il paese che fu travolto dal fango e dall’acqua tracimata dalla diga. E’ stato completamente ricostruito ed è conosciuto oggi soprattutto per la sua Fiera del Gelato. Erto e Casso sono (quasi verrebbe da dire erano) due borgate situate in quota, dall’altro lato del bacino, proprio davanti al Monte Toc.
Il Monte Toc è il vero protagonista di questa brutta storia: dalla sua parete settentrionale si staccò la frana che generò la tragedia. Nell’invaso della diga si rovesciò una quantità di terra superiore addirittura alla capacità dell’intero bacino. La frana fece cadere nel lago alla velocità di più di cento chilometri l’ora una massa di 270 milioni di metri cubi di roccia e terra che generarono un’onda di 250 metri. Lo tsunami risali le pareti dell’invaso distruggendo tutto quello che incontrava e si riversò infine sulla diga scavalcandola e invadendo completamente la pianura di Longarone.
La diga. Costruita con perizia e nel pieno rispetto dei tempi previsti per la sua costruzione, era la più alta mai realizzata in Europa. Resse all’impatto del disastro ed è ancora in piedi e molto visitata dai turisti.
E allora, se la diga andava bene, quale fu il problema,verrebbe da chiedersi a tanti anni dalla strage?
Il fatto è che la diga, in quel posto, non avrebbe dovuto essere costruita. Si sapeva benissimo che il rischio idrogeologico era fortissimo. Si sapeva che il livello delle acque non avrebbe dovuto essere quello che poi fu realizzato. Come si sapeva che le caratteristiche morfologiche del terreno e, soprattutto delle pendici del Monte Toc, non erano fatte per sopportare né la pressione dell’acqua né le diverse caratteristiche fisiche del terreno intriso d’acqua.
Il disastro del Vajont fu un vero caso di disastro ambientale servito a rate: prima l’incuranza delle analisi compiute dai geologi, poi lo scaricabarile delle responsabilità tra progettisti, costruttori, enti locali e ministero dei lavori pubblici, per finire con gli insabbiamenti ad ogni livello della dinamica del disastro e dei passaggi attraverso i quali ci si era arrivati.
Quasi duemila morti. Un vero disastro ambientale compiuto con grande professionalità e nella totale inosservanza delle norme che regolano il rischio idrogeologico. Mi piace pensare che ci abbia insegnato qualcosa.