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Barriere antisale, che senso hanno?

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Alcuni politici le chiedono, vari agricoltori le evocano, ma le barriere antisale non costituiscono un gran rimedio per impedire la risalita del cuneo salino in un Po ridotto al fantasma di se stesso a causa della perdurante siccità e dell’infinito caldo feroce.

Anzi: come nel caso dei dissalatori, le barriere antisale possono essere un rimedio peggiore del male.

Il cuneo salino consiste nell’ingresso nel Po del sale e dell’acqua del mare. Ormai da settimane il cuneo si allunga per decine di chilometri dalla foce verso l’entroterra, polverizzando ogni record precedente. Causa principale, sebbene non unica: nel Po c’è troppa poca acqua.

La magra ormai è più che epocale. Secondo l’ultimo monitoraggio dell’ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni), il Po ha una portata pari a meno della metà di quella più bassa mai registrata in passato: appena 113,7 metri cubi d’acqua al secondo a Pontelagoscuro.

La risalita del cuneo salino è una sciagura per gli ecosistemi. Inoltre rende impossibile utilizzare l’acqua del Po per irrigare i campi e tentare di salvare raccolti che si prospettano disastrosi. Donde il gran parlare [] delle barriere antisale.

Cosa siano e come funzionino le barriere, lo spiega una pubblicazione on line del Consorzio di Bonifica Delta del Po, dedicata alle opere umane che negli ultimi 60 anni hanno modificato l’aspetto della zona. Fra queste, anche barriere antisale sperimentali presenti per qualche tempo su due rami del delta.

Anche se una barriera è un’installazione assai complessa, la si può immaginare come una fila di pali conficcati nel letto del fiume in senso perpendicolare alla corrente. Ai pali sono ancorate alette mobili unidirezionali, che rimangono aperte per assecondare il flusso dell’acqua verso il mare e che si chiudono invece da sé, formando una barriera, quando l’acqua del mare risale il fiume.

Semplice e indolore? C’è il rovescio della medaglia. Non riguarda solo la manutenzione e i costi, che pure sono molto alti. Lo stesso Consorzio di Bonifica Delta del Po stimava cinque anni fa che fossero necessari 25 milioni per realizzare una – una sola – barriera antisale all’estremità del Po di Pila, fra l’isola di Pila e quella di Polesine Camerini: e quanti rami ha il delta… Quanto alla manutenzione, bisogna affrontare gli accumuli di materiale galleggiante e le proliferazioni di mitili che dopo un po’ letteralmente tappezzano le alette.

Il vero punto dolente è che le barriere antisale funzionano solo quando il Po non è in grave magra: cioè quando il cuneo salino impensierisce meno. Si calcola che per far funzionare una barriera antisale sul Po di Pila sia necessaria una portata pari almeno a 450 metri cubi d’acqua al secondo a Pontelagoscuro. Ora la portata del Po a Pontelagoscuro è di 113 metri cubi al secondo. La barriera, se esistesse, sarebbe andata KO da un gran pezzo.

E allora, se sono inutilizzabili proprio quando c’è più bisogno di loro, a cosa possono servire le barriere? Una risposta – implicita – può essere cercata nelle parole di un funzionario dell’Autorità Distrettuale del Po: una barriera antisale “può rappresentare una sorta di invaso, una vera e propria risorsa irrigua aggiuntiva”.

Ecco il punto in cui la presunta cura aggrava il male: il cuneo salino risale il Po soprattutto perché c’è poca acqua e le barriere antisale invocate per contrastarlo aiuterebbero a prelevarne di più.

Il grosso dei prelievi è dovuto all’agricoltura. Certo, i campi hanno bisogno di acqua: ma a fine primavera-inizio estate si toglie al fiume circa metà della sua acqua. Lo mostra una tabella presente in un allegato del piano di bilancio idrico del Po. Si riferisce a Pontelagoscuro, ma si può immaginare una situazione analoga lungo l’intera asta del fiume e anche sui suoi affluenti.

Ovvio che l’esame di coscienza devono farselo tutti i settori produttivi: anche le industrie e le aziende idroelettriche alle quali serve acqua trattenuta nei bacini di montagna.

Senza acqua i raccolti non crescono e senza i raccolti non si mangia. Ma bisognerà pur dire che il mais, una delle principali colture nella Pianura Padana, beve come una spugna. Il riso, che tuttavia occupa una porzione ridotta di territorio, beve ancora di più. Ed è ben difficile, anche in un anno “normale”, fare a meno dell’irrigazione per altre colture tradizionali come soia e barbabietola.

Ormai è necessario privilegiare colture poco assetate. Grano, legumi a cominciare dai fagioli, canapa … Quest’ultima ha anche alcuni impieghi alimentari ma serve per fare di tutto, o quasi. Prevalgono gli usi industriali come tessuti, carta, materiali per la coibentazione in edilizia, ma cominciano a farsi strada anche i mangimi zootecnici, che costituiscono la principale destinazione del mais italiano.

Fonte foto in copertina: http://2019.remtechexpo.com/images/2019/proceedings2019/proceedings20venerdi/MANTOVANI-Consorzio-di-Bonifica-DELTA-DEL-PO-ESONDA_18-9-19.pdf