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Dal Po al Rodano sulle ali di drago

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Tarantasio, il drago padano, ha una sorella francese che gli somiglia come una goccia d’acqua perfino nel nome: la Tarasque. Si può ipotizzare una radice comune, ma per seguirla è necessario scavare fino ai tempi nei quali i celti, prima della dominazione della Roma antica, abitavano l’Europa centrale ed occidentale, comprese – fra l’altro – le aree che noi ora chiamiamo Francia ed Italia settentrionale.

Se Tarantasio viveva nel lago Gerundo, il bacino paludoso che un tempo si estendeva dal Bergamasco fin quasi a Cremona e al Po, la Tarasque infestava le rive paludose del Rodano fra Arles ed Avignone. Esattamente come Tarantasio, la Tarasque era enorme: anch’essa aggrediva e mangiava gli uomini, rovesciava le barche e aveva sei zampe. E che i due abbiano in comune questo particolare è veramente notevole, perché i draghi devono normalmente accontentarsi di due paia di zampe, o anche di un paio solo.

Una differenza tuttavia esiste nella silhouette: il corpo di Tarantasio era serpentiforme e alcuni (non però tutti) dicono che possedeva le ali; la Tarasque aveva invece muso di leone ed un ampio dorso coperto da una corazza come quella delle tartarughe, ma coperta di spine.

Anche l’epoca in cui sono ambientate le rispettive leggende è diversa. Esistono varie versioni dell’uccisione di Tarantasio che collocano il fatto nel XII-XIII secolo ed attribuiscono l’impresa a Federico Barbarossa, oppure a Uberto Visconti o ancora ad un prodigio compiuto da San Cristoforo; un’altra versione parla invece del VI secolo, protagonisti il re longobardo Agilulfo e San Colombano.

Per la Tarasque, invece, non ci sono dubbi: a liberare le rive del Rodano dalla sua presenza fu Santa Marta, la sorella di Lazzaro che, secondo la tradizione, emigrò in Provenza poco dopo la resurrezione di Gesù. Siamo dunque nel I secolo. Il popolo, terrorizzato dalla Tarasque, implorò Santa Marta di intervenire. Ella andò ad affrontare il drago: lo trovò che stava mangiando un essere umano e lo lo ammansì con la croce e l’acqua benedetta. Lo legò al guinzaglio con la sua cintura e lo portò in città, docile come un cagnolino: ma la gente – vuoi mai che il drago torni alle vecchie abitudini? – preferì .ammazzarlo a colpi di pietra e di coltello.

I tempi moderni trattano in modo radicalmente diverso Tarantasio e la sua sorella francese. Il drago padano, poveretto, deve affidare il suo ricordo solo ad alcune presunte sue costole conservate nelle chiese e al simbolo dell’ENI mentre la Tarasque ha dato il nome alla città di Tarascona e ai quattro giorni di festa, anch’essa chiamata Tarasque, che vi si svolgono ogni anno in giugno: l’edizione 2022 inizia venerdì 24. Il momento culminante è la sfilata in costume alla quale partecipa la grande effige del mostro a sei zampe. L’UNESCO ha dichiarato la sfilata della Tarasque patrimonio immateriale dell’umanità insieme ad altre analoghe manifestazioni in Francia e in Belgio che coinvolgono simulacri di eroi mitologici o di animali fantastici. E non solo. Alla Tarasque di Tarascona è accostabile la sfilata della Tarasca che si svolge a Granada, in Spagna, il giorno del Corpus Domini: un drago a sei zampe percorre le vie per ricordare che il bene vince sul male.

Così simili eppure così lontani nello spazio, Tarantasio e la Tarasque: il nome, la palude in cui abitavano, le abitudini antropofaghe, le sei zampe… Quale potrà mai essere la radice comune? Suggerisce la possibile risposta un piccolo saggio a firma di Ester Bertozzi pubblicato su Insula Fulcheria, la pubblicazione annuale del Museo Civico di Crema che riprende il nome dall’isola situata un tempo in mezzo al lago Gerundo in cui dimorava Tarantasio.

Questo lavoro ipotizza che il nome del drago Tarantasio faccia riferimento a Taranis, la divinità dei celti assimilabile al Giove della Roma antica il cui culto fu spazzato via dalla cristianizzazione. E i celti, che  al di là delle Alpi gli antichi romani chiamavano Galli, popolavano un tempo anche rive del Rodano e così pure parte della Spagna, dove assumevano il nome di Celtiberi.

E se poi si vuol correre sul filo della suggestione – però di questo Insula Fulcheria non parla – uno degli attributi di Taranis era la ruota ad otto o sei raggi. Sei, come le zampe di Tarantasio e della sua sorella francese.