
Il Po bambino non parla né l’italiano né uno dei dialetti padani che ascolta nel suo lungo viaggio fino all’Adriatico. A Crissolo, il suo Comune di nascita sulle pendici del Monviso, si parla l’occitano, conosciuto anche come provenzale o lingua d’Oc. Diffuso in larga parte della Francia meridionale, è una delle lingue minoritarie del Piemonte []. Lo si incontra nella parte alta delle valli cuneesi, comprese quelle attorno al Monviso, e in alcune della provincia di Torino.
L’occitano non è solo una lingua della gente comune: è capace di raffinatezze letterarie tali che i trovatori del XI-XIII secolo lo usarono per cantare l’amor cortese. Perfino Dante lo amava e lo apprezzava: il trovatore Arnaut Daniel è l’unico personaggio della Divina Commedia al quale Dante concede di esprimersi per ben otto versi nel suo idioma natio.
Oltre a parlare una lingua diversa dall’italiano, il Po bambino la impara in una scuola tutta particolare. Proprio a Crissolo infatti nel 1961 un gruppo di studiosi fondò l’Escolo dóu Po (“Scuola del Po”), un’associazione volta a valorizzare e conservare il patrimonio culturale occitano. Essa ha fra l’altro codificato i criteri per trascrivere la lingua in modo ortograficamente corretto.
Chi volesse provare a leggere un testo nell’occitano di Crissolo, con traduzione italiana a fronte, può cimentarsi con la spiegazione relativa a lingua, storia ed usanze del Piemonte occitano messa a punto dal sito turistico delle valli del Monviso. C’è anche un passo dedicato all’Escolo dóu Po. Per ascoltare l’occitano parlato, c’è il trailer di un raffinato film di qualche anno fa intitolato E l’aura fai son vir (“E il vento fa il suo giro”). E’ ambientato ad Ostana, poco più a valle di Crissolo: un altro paesino in cui si parla occitano. Alcune battute sono in italiano; altrimenti, c’è la traduzione in sovrimpressione. https://youtu.be/zVAF0A0_i2U
Come la lingua del Po bambino è radicalmente diversa da quella che si parla a non molti chilometri di distanza dalla sorgente, così anche il cibo. La cucina tradizionale dell’alta Valle Po non ha nulla a che vedere con quella che accompagna il pingue e placido corso del fiume ormai giunto in pianura.
La polenta, la carne di maiale, le anguille non fanno parte dei piatti consuetudinari: piuttosto castagne, patate, farina di segale, lumache. E poi formaggi, carne di vitello e di agnello, qualche trota. Fra i secondi spicca l’agnello all’occitana: una sorta di spezzatino che deve il suo gusto al fatto che la carne, prima di essere cotta, va marinata a lungo nel vino. La ricetta dice per 12 ore, ma anche un giorno intero non guasta. Fra i dolci, rimarchevoli il tourto de chastanhes, una torta a base di castagne lessate, e la torta di ramassìn, vagamente imparentata con il clafoutis francese a base di ciliegie: solo che la ricetta contempla gli amaretti sbriciolati al posto della farina e le ciliegie sono sostituite appunto dai ramassìn, una varietà locale di prugne molto piccole e molto dolci, dal sapore particolare e assolutamente introvabili altrove.
Ma il piatto forte di cui si nutre il Po bambino sono le raviòles, una sorta di gnocchi di patate impastati con poca farina e tanta toma, il formaggio locale a pasta semi morbida. Altra toma, ma fusa, si usa per condirli. Più che leggere la ricetta, per sapere come si preparano le raviòles è utile guardare un video girato in Val Varaita, adiacente alla Valle Po. Le istruzioni sono in occitano, con traduzione italiana in sovrimpressione. Ma contano i gesti: che non hanno bisogno di spiegazioni.